Teatro della Visitazione. “Opinioni di un clown” e di un critico, a cuore aperto

Lo spettacolo dopo Roma sarà in tournée, in fondo alla pagina le date

ROMA – Se avessi visto una locandina che pubblicizzava lo spettacolo “Opinioni di un Clown” di Heinrich Böll – in anteprima a Roma, al Teatro della Visitazione gli scorsi 6, 7 e 8 novembre – probabilmente non sarei andato a vederlo. Ho amato molto quel romanzo, ho trovato in esso tante risposte, mi ci sono rispecchiato in un momento particolare della mia vita, e una brochure, un indiscriminato invito su Facebook alla sua riduzione teatrale non mi avrebbero mai convinto a lasciare il ricordo della lettura solitaria, per la visione di un adattamento. 

Due le ragioni, quasi dei princìpi: la prima è che considero una profanazione trasporre drammaturgicamente un’opera che l’autore ha pensato per una diversa dimensione comunicativa, la seconda è che trovo assurdo, con tutti i testi teatrali esistenti, molti dei quali belli e dimenticati, che tanti registi si ostinino a mettere in scena romanzi, spesso con il solo fine di sentirsi più liberi nei confronti del malcapitato scrittore.  Dunque sono andato a vedere “Opinioni di un clown” solo per motivi personali: perché lo spettacolo mi era utile – volevo infatti far conoscere, con una certa urgenza, questa storia di ricerca e di assenza a chi era riuscita a farmi vivere sentimenti simili a quelli del protagonista Hans Schnier – e poi perché mi ha invitato Chiara Condrò, una brava attrice, che mi ispira fiducia e di cui, per quel poco che ne so, apprezzo la serietà professionale. Non avessi avuto queste motivazioni, non avrei mai deciso di assistere allo spettacolo. E avrei fatto male. 

È un buon modo di celebrare i 30 anni dalla morte di Böll l’adattamento teatrale di “Opinioni di un clown”  pensato da Stefano Skalkotos, a partire dalla sempre valida traduzione di Amina Pandolfi: il lavoro coglie i nuclei centrali della storia e li riporta con rispetto e con i necessari interventi drammaturgici. Sulla stessa onda, la regia di Roberto Negri e la supervisione artistica (che vorrà dire di preciso?) di Federico Vigorito sono riuscite a mantenere un buon equilibrio tra la dimensione monologica del romanzo e i molti personaggi evocati. Oltre al protagonista, in scena compaiono solo due attori (Chiara Condrò nelle vesti di Maria e Alessio Caruso nei panni del padre di Schnier). Gli altri interventi, come vuole la storia, sono affidati alle telefonate, grazie alle belle voci di Daniela Poggi, Cosimo Cinieri, Massimo e Daniele Giuliani. C’è poi un momento in cui il fratello Leo viene rappresentato con una marionetta. Infatti uno dei pregi di questo spettacolo è che non ci sono trovate: l’idea della “marionetta poetica” l’avrò vista almeno cinque o sei volte tra Emma Dante, Antonio Latella, Ruggero Cappuccio e altri ancora, ma funzionava anche in questo caso  e quindi non c’era ragione di privarsene. Il gruppo che ha deciso, con serietà, di intraprendere questa difficile operazione artistica non ci voleva stupire. Di questo lo ringraziamo.  

In due parole gli snodi principali della storia: Hans Schnier è un clown la cui vita è segnata da due drammi esistenziali. Alla fine della seconda guerra mondiale la sorella Henriette si è arruolata nella difesa antiaerea e ha perso la vita: i ricchi genitori non hanno fatto niente per fermarla e Hans questo non può perdonarlo. Il clown ha poi avuto un grande amore: la cattolica Maria. Con lei ha vissuto per alcuni anni, ma il fervore religioso di Maria e l’agnosticismo del protagonista li rendono incompatibili. Maria lascia Schnier e sposa il cattolico Züpfner. Di questa separazione l’artista non riesce a farsi una ragione, la sua vita si svuota mano a mano di senso, la decadenza fisica e professionale fanno eco al disorientamento spirituale. Con complessità, dolore, ironico disincanto e poesia, Schnier, nel 1962, dalla sua stanza a Bonn inizia la riflessione, esprime le sue “opinioni”.

L’impianto del romanzo è, in effetti, molto vicino al teatro. Le parole monologanti di Hans Schnier si sollevano dalla pagina scritta, il fraseggio perfetto del premio Nobel colpisce il lettore, imponendogli delle pause.  L’alternanza di strutture sintattiche più complesse e di frasi brevi, che hanno la forza delle sentenze, colpisce, emoziona: “Da quando Maria è passata ai cattolici (sebbene Maria sia lei stessa cattolica, questa definizione mi appare appropriata), la violenza di questi due mali è aumentata e persino il Tantum ergo o le litanie lauretane – fino a ora le mie favorite per combattere il mal di testa – non servono più a nulla o quasi. C’è una medicina di effetto momentaneo: l’alcol. Ci sarebbe una guarigione duratura: Maria. Maria mi ha lasciato”. O ancora: “Credo che non ci sia nessuno al mondo che capisca un clown, e neppure un clown capisce l’altro. Lì poi entra sempre in gioco l’invidia e la gelosia. Maria era quasi arrivata a capirmi, a capirmi completamente non arrivò mai”.  

Nello spettacolo il gioco di reggenti e subordinate, periodi semplici e complessi c’è in potenza, la buona drammaturgia lo riporta, ma in questo senso la direzione dell’attore, almeno per ora, è stata poco incisiva. Le scelte di arredo scenico, i costumi (a parte quello troppo anonimo del padre) e le luci contribuiscono a rendere le atmosfere del romanzo: un diffuso sentimento di resa, un’idea di potenzialità mortificate che giacciono lì negli oggetti, nel ricordo del protagonista, sempre più incastrato nella sua storia.

Giusta la scelta delle musiche, se solo venissero sfumate meglio e non tagliate di netto. Unico difetto della drammaturgia: il finale è poco chiaro, chi non conosce la storia rischia di non capire.

Negli ultimi otto giorni ho visto sei spettacoli e due film. Mi rendo conto di aver scritto solo di due di essi ed entrambi nascevano come romanzi: questo e Hanno tutti ragione di Paolo Sorrentino, diretto e interpretato da Iaia Forte. Per due volte non ho fatto questioni di principio, mi dico: due adattamenti, ma due lavori seri.Credo che la critica, quella distruttiva, che pure in certi casi ci vorrebbe, consista oggi soprattutto nell’omissione: quando qualcosa vale poco, in generale, si preferisce non parlarne. E avviene per eccesso, sempre più spesso, che il critico, anche quello costruttivo, non entri nel merito, parli solo degli aspetti positivi e taccia su ciò che non funziona, a parte qualche accenno che gli serve a dare credibilità al suo ruolo. L’omissione è in parte inconscia, ma più di frequente è voluta. 

Alla fine di queste righe mi rendo conto, appunto, di un omissis: non ho neanche detto chi sia l’attore protagonista. Devo rimediare. A interpretare il ruolo di Hans Schnier è lo stesso dramaturg Stefano Skalkotos. Nella presentazione dello spettacolo si parla di “amore viscerale” per il romanzo di Böll. L’amore, specialmente se è “viscerale”, aggettivo molto pericoloso, porta spesso a commettere degli errori. Credo che Skalkotos non abbia ancora trovato Hans: quella complessità, quel dolore, quell’ironico disincanto e quella poesia di cui parlavamo sopra. Il personaggio che ne esce è quasi un superficiale. In questo l’interprete dovrebbe forse rivolgersi al regista: quando si è troppo implicati, troppo innamorati di un’opera si rischia di perdere la lucidità e serve proprio allora che la direzione dell’attore sia efficace. 

Mentre riaccompagnavo in macchina una delle due ragioni per cui ero venuto a vedere lo spettacolo, le ho chiesto: “Allora che te ne è parso?”. Con particolare riferimento agli attori, la mia ragione, non una critica teatrale, ma un’ordinaria spettatrice, ha risposto: “In certi momenti potevano commuoverci e non l’hanno fatto”. Riflessione semplice, non banale. In quest’anteprima c’è ancora molto di inespresso, è necessario che l’interpretazione maturi e l’impulso deve partire dal protagonista. Anche Chiara Condrò e Alessio Caruso saranno allora meno tecnici, magari meno precisi, ma più convincenti e forse incarneranno fino in fondo, nel loro ruolo, le personalità pensate dall’autore.

In ogni caso, “Opinioni di un clown” non è uno spettacolo da omettere, come non lo è “Il prezzo” di Arthur Miller andato in scena in questi giorni all’Argentina, ma una mia recensione non sarebbe stata di alcuna utilità. Ho omesso invece altri lavori: quello cui partecipava un’amica carissima al Teatro dell’Orologio, e poi “Io, Nessuno e Polifemo” di Emma Dante, andato in scena al Vittoria. Sono omissioni necessarie e volute, a volte a malincuore, per l’affetto o la stima che mi legano ad altre imprese di questi artisti. Ma io sono un cattolico come la Maria di cui è innamorato Hans Schnier e la domenica a messa, oltre ai pensieri, le parole e le opere, devo avere anche qualche malvagia omissione per cui battermi il petto al momento del mea culpa. 

Opinioni di un clown al Teatro della Visitazione

TEATRO DELLA VISITAZIONE

Presenta

Rassegna “Contesti Contemporanei” con la Direzione Artistica di Federico Vigorito.

OPINIONI DI UN CLOWN di E. Boll

Traduzione: Amina Pandolfi

“E’ un clown e fa collezione di attimi”

Adattamento teatrale di Stefano Skalkotos

con Stefano Skalkotos, Chiara Condrò e Alessio Caruso

con la straordinaria partecipazione in voce di

Daniela Poggi –  Cosimo Cinieri – Massimo Giuliani – Daniele Giuliani

musiche Marcello Fiorini

scene e costumi Rossella Ramunni realizzazione scene Lab Area 5 supervisione artistica Federico Vigorito organizzazione Flavia Ferranti regia Roberto Negri

Una Produzione Compagnia “Tiberio Fiorilli” in collaborazione con Officina Dinamo e Area 5   direzione artistica Dino Signorile

“Opinioni di un clown “ sarà  anche in tournée:

21 e 22 Novembre: Avellino, Teatro 99posti

17 Gennaio, Velletri

29 e 30 Gennaio, Bari, Teatro Abeliano

20 Marzo, Roma, teatro Hamlet

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