Emanuele Salce: le “Confessioni di un figlio d’arte”

Corsa ad ostacoli tra Luciano (Salce) e Vittorio (Gassman) alla ricerca di Sé

“Narrazione impudica di due funerali” è il secondo sottotitolo che colpisce l’occhio già accalappiato dal nome dello spettacolo, “Mumble Mumble” e dalla sua prima dicitura “Confessioni di un’orfano d’arte”. In due slogan e un’espressione da cartoon ci sono già tutti i contenuti di una performance, quella di Emanuele Salce ora in scena al Teatro Tor di Nona di Roma dopo sette anni di sold out in giro per l’Italia, che suscita una immediata curiosità per i neofiti e una rinnovata attrazione magnetica per chi ad essa ha già assistito. Chi non conosce bene Emanuele – Mumble Mumble per gli amici di primissima infanzia – e non ha seguito i passi della sua tormentata carriera di doppio figlio d’arte (di Luciano Salce in natura e di Vittorio Gassman in adozione sentimentale forzata) può essere ad un primo acchitto attratto dall’aneddotica vicenda di un bambino che affabula la quotidianità di casa tra storielle, battute e rivelazioni dell’intimità familiare dei due grandi figuri paterni, accomunati solo da una altrettanto imponente donna, Diletta D’Andrea. Ma la potenza della trasformazione del vissuto autobiografico sul palco concepita dal suo autore è totalmente altro: un’operazione che al contempo mescola il grottesco incredibilmente reale delle sue vicende giovanili dentro e fuori casa alla drammaticità di un senso del vuoto incolmabile di chi, schiacciato dalla fama genitoriale e senza appigli altri da se stesso a cui rivolgersi, vaga senza meta alla ricerca di un abbraccio mai ricevuto. La confessione del reale soggettivo fa clessidra con il distacco del racconto surreale in terza persona che provoca, in perfetti ritmi di intonazione, altezze, prossemiche, micromimica facciale e gestualità misurata, una calamita narrativa che riesce ad incollare alla sedia il cervello e le emozioni del fruitore per oltre un’ora e mezza di spettacolo. A dosare gli accenti e a smorzare l’outing psicanalitico che ha scelto il giovane Salce per raccontare le sue frustrazioni di figlio, di studente, di lavoratore e di uomo (alfine comunque realizzatosi) interviene una “spalla”, Paolo Giommarelli, necessaria a giustificare la sua intenzione di mettersi a nudo, giocando con gli spettri del suo inconscio ed esorcizzandoli nel momento di un conato interpretativo che rispecchia tutti i registri del grande attore. Se Paolo accenna a Ionesco e Beckett per far ingranare la recitazione di Emanuele nelle prove del suo prossimo spettacolo – incipit da cui si dipana gradualmente, in & out, la sintassi narrativa confessionale del figlio d’arte e delle sue vicende – è proprio parafrasando l’Assurdo di situazione dei due autori teatrali che si evolve il racconto scenico prescelto, ricco di nonsense, calembour, flash-back e flash-forward che ripercorrono i ricordi, in gran parte (s)drammatizzati del protagonista. Giommarelli si allontana per assistere alle prove dell’attore sul palco ed entra Stanislavskij con l’immedesimazione alla perfezione non di uno, ma di molti personaggi che hanno sfiorato la vita di Emanuele dalla nascita ai due funerali (totalmente opposti) dei due padri; Paolo rientra in scena per spiegare gli errori di Salce in prova ed ecco l’istintivo straniamento brechtiano del nostro attore che riprende possesso del suo Io presente dileguandosi dagli oggetti delle sue storie.

E, a tre quarti della convincente prestazione attoriale, l’interprete da figlio si fa uomo, recuperando una memoria sentimentale che riesce a costruire – nel racconto di un’esperienza australiana vissuta col fratellastro Jacopo e con una fidanzata autoctona rimorchiata in sede e poi ufficializzata in una lunga relazione – un’autentica apologia dissacratoria su temi scatologici che più scadono in basso (una defecazione liberatoria scaturita durante un primo approccio amoroso) più si rivelano sublimi nel modo in cui si è scelto di raccontarli: diretto, preciso, elegantemente ricco di particolari, con effetti di risate roboanti dall’altra parte dello spazio scenico.

Emanuele Salce è un attore di classe, di incisiva pregnanza scenica; potrebbe al contempo presentarsi come affabulatore comico alle folle e la questione non cambierebbe; è un’interprete a tutto tondo che con larga autoironia sa mettersi in discussione e lasciar traspirare il suo stato di abbandono filiale; è un essere umano che filtra i propri sentimenti per trasmetterli con nonchalance al suo interlocutore in platea; è un signore che regala i suoi segreti pur continuando a custodirli gelosamente. Per quanto pregno di Arte carpita nel microcosmo di una situazione familiare non proprio comoda, Emanuele ci insegna attraverso questo spettacolo autobiografico che vivere per recitare è inequiparabile a vivere per vivere, fuori e dentro un set o un palco che sia. E questa, per lui, è la giusta strada da percorrere… 

MUMBLE MUMBLE…

OVVERO CONFESSIONI DI UN ORFANO D’ARTE

con Emanuele Salce

e Paolo Giommarelli

regia Timothy Jomm

Teatro Tordinona

Via degli Acquasparta, 16 – 00186, Roma

Dal 7 al 12 marzo 2017

http://www.tordinonateatro.it

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