Teatro Belli. “Viva la vida! Frida Kahlo e Chavela Vargas” di Valeria Moretti dal 24 al 27 gennaio

ROMA – Apparivano sulla scena applaudite da migliaia di spettatori e poi improvvisamente scomparivano.  Ripetevano la propria immagine come in un caleidoscopio. La cantante Chavela Vargas e la pittrice Frida Kahlo.

A queste due artiste messicane, figure carismatiche ad alto tasso d’intensità e passione, è dedicato l’omaggio teatrale di Valeria Moretti “Viva la vida! Frida Kahlo e Chavela Vargas”, che va in scena al Teatro Belli dal 24 al 27 gennaio con Francesca Bianco ed Eleonora Tosto accompagnata alla chitarra da Matteo Bottini. La regia è di Carlo Emilio Lerici. 

La cantante Chavela Vargas ha costellato la sua vita sì di apparizioni, ma soprattutto di sparizioni che la facevano sembrare agli occhi dei suoi ammiratori esattamente come la fantasmatica figura della Llorona: mito popolare che di notte vagava per i vicoli bui di Città del Messico e alla quale Chavela dedicò una delle sue canzoni più popolari. La cantante alternava fasi di dipendenza assoluta dall’alcool che le impedivano di esibirsi di fronte al pubblico a periodi di astinenza. A 83 anni, si vantò di aver bevuto in totale 45.000 litri di tequila!

Giovanissima, la pittrice Frida Kahlo, era stata vittima di uno spaventoso incidente stradale che la costrinse all’immobilità. Ma non per questo si arrese. Anzi! Una volta partecipò alla serata inaugurale di una mostra in barella, portata da un’autoambulanza. Insomma, tutto concorre a fare di lei la protagonista della propria esistenza. E Lei stessa aveva l’attitudine ad esserlo e a volerlo essere. Altrimenti perché tanti autoritratti? Altrimenti perché divenire Lei stessa un’opera d’arte? 

Quando erano vive, le due artiste già destavano curiosità e interesse. Frida, la pittrice, ci magnetizza ancora adesso – ah, quelle sopracciglia disegnate a forma di rondine!” – per la sua bellezza e fierezza, per la poeticità del suo abbigliamento, per l’arte sorprendente, per la fiammante fede politica, per le turbolente vicende amorose: dal marito Diego Rivera (sposati, divorziati, risposati) alla liaison con Trotzky, più qualche “divagazione” femminile.

Ci confessa Frida: “Diego è il nome dell’amore. Nel dipingerlo me lo sono messo qui, nel mezzo della fronte!  Ho dipinto anche la mia nascita e la mia morte. Come farei senza l’assurdo e la possibilità di sparire? Io non sono surrealista. Surrealismo è la magica sorpresa di trovare un leone nell’armadio dove, invece, eri sicuro di trovare delle camicie! Io dipingo semplicemente la mia realtà”. 

“Quando ho sposato Diego – ricorda Frida – hanno detto che io somigliavo a una colomba e lui a un elefante. Un elefante comunista! Il “discutido pintor” era vestito all’americana… però… senza panciotto. Io chiesi alla cameriera di prestarmi una delle sue gonne lunghe e di darmi anche la sua blusa e il “rebozo”. Poi strappai un bocciolo di bouganville dal giardino e me lo infilai tra i capelli. Essere vestita come una donna di Tehuantepec mi ha sempre dato gioia. E’ il mio costume. C’è bisogno di un costume per affrontare la scena del mondo!”

Anche Chavela aveva un costume per affrontare la scena del mondo: il poncho e quando morì fu proprio quel poncho che i suoi sterminati ammiratori che gremivano la chiesa e le strade vollero fosse posato sulla sua bara!

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