Il grande western in tv. Il “biblico” Fiume rosso e il “perfetto” Appaloosa

Con l’attenuarsi della pandemia che spinge le persone a uscire di casa come non hanno potuto fare finora, ma soprattutto per l’avvicinarsi della stagione estiva, i programmi della tv generalista si stanno impoverendo di novità.

E non solo sulle reti all-movie abbondano i film ovviamente carichi di anni, con frequenti rimpalli degli stessi titoli da un’emittente all’altra, tra pubbliche e private (evidentemente la voce concorrenza non vale in questi casi). E’ un problema per il telespettatore per così dire generalista, ma una pacchia per quello amante del cinema di qualità, che di questi tempi gode del vantaggio di rivedere titoli famosi di un genere ultrapopolare che hanno un posto nella storia del cinema americano. Parliamo dei western, quelli originali, non le scialbe imitazioni dei western-spaghetti girati nella campagna romana o al massimo in Spagna, e con la sola lodevole eccezione di Per un pugno didollari di Sergio Leone, firmati con nomi e cognomi stranieri da registi di casa nostra a corto di idee. Il caso di Antonio Margheriti diventato Anthony Dawson (“margherita” in inglese) fece scuola e Mario Girotti diventò Terence Hill, come da Carlo Pedersoli nacque Bud Spencer e si potrebbe continuare.

 Fra i western-capolavoro che abbiano visto e rivisto più volte in tv in questo periodo due meritano di essere ricordati anche al lettore che non mancherà di avere occasione di trovarseli davanti all’ora di cena: Appaloosa di Ed Harris e Il fiume rosso di Howard Hawks. Di quest’ultimo, trasmesso da Rai Movie in edizione integrale e in una versione con frequenti inserti originali in inglese con sottotitoli (vuoi mettere il piacere di sentire la vera voce di John Wayne e non i soliti nostri pur bravissimi doppiatori) si è occupato sul Corriere della sera nientemeno che il principe dei critici televisivi Aldo Grasso, che di regola recensisce solo programmi autenticamente televisivi (anche una partita di calcio se merita, o il festival di Sanremo) ma Il fiume rosso lo ha giustamente affascinato, e ha fatto un’eccezione.

Girato nel 1948 da un Howard Hawks in stato di grazia, con un bianco e nero di grande suggestione, il film affronta l’epopea western di Hollywood, secondo Grasso, “con un sapore biblico”. La traversata del deserto, siamo nel 1865, del cowboy impersonato da John Wayne con una mandria di diecimila capi verso Abilene, in New Mexico, una sorta di terra promessa, dove fra i mille pericoli rappresentati dagli indiani non ancora sottomessi e dalle bande di predoni che imperversano sta comunque nascendo una nazione, mentre all’orizzonte si annuncia sbuffante il treno della ferrovia che sta unificando l’est con l’ovest, e già si intravede il capitalismo texano che in attesa dei pozzi di petrolio si basa ancora sul bestiame a venti dollari a capo, con cui sfamare le città che stanno sorgendo nella prateria. Non mancano i risvolti umani dei personaggi: lo scontro generazionale risolto per una volta con una solenne scazzottata e non a revolverate, il ruolo della donna che comincia a farsi sentire nella nuova società americana, un tormentato rapporto edipico che, come azzardò a suo tempo Morando Morandini, altro critico di vaglia, fa di Fiume rosso una specie di Ammutinati del Bounty in chiave western. Da notare le appropriate musiche di Dimitri Tiomkin, il russo che a Hollywood avrebbe vinto tre Oscar e firmato le più belle colonne sonore, da Mezzogiorno di fuoco a Il vecchio e il mare. Accanto a John Wayne giovane ma già grintoso troviamo Montgomery Clift, Walter Brennan e John Ireland oltre ad una seducente Joanne Dru. Un film da rivedere quante volte più possibili, in tv, nei cineclub, nelle arene estive se, quando il virus sarà un ricordo, ne troveremo ancora di aperte.

Lo stesso va detto di Appaloosa, il “western perfetto” come si dice spesso a sproposito di tempeste tropicali o cicloni catastrofici. Girato nel 2008, esattamente a sessanta anni di distanza da Fiume rosso, è diretto da Edward Harris che si è riservato nel cast il ruolo del protagonista. E’ la storia di una strana coppia di amici con la pistola (uno in verità imbraccia sempre un fucilone che mette spavento) che in un villaggio del Far West taglieggiato da una banda di malfattori è ingaggiata dal consiglio comunale per riportare l’ordine e far rispettare la legge. C’è anche una bella ragazza appena scesa dal treno che poi troverà lavoro come pianista nel saloon e che si innamora, ricambiata, del più vecchio dei due (non limitandosi solo a lui, però). Il personaggio, fondamentale, è interpretato da una Reneé Zellveger prima maniera, paffutella e dallo sguardo a fessura, comunque seducentissima. 

Detto così sembra un western come tanti, con i buoni che fanno fuori i cattivi e la ragazza del saloon che porta un po’ di scompiglio fra i sentimenti dei pur rudi pistoleros. Ma è l’atmosfera d’insieme che ne fa un film straordinario. Chi se lo dovesse perdere ancora una volta in Tv non ha più scuse. 

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