Pesaro film fest 57. Il concorso: ambiente, diritti e ironia sui simulacri del cinema

PESARO (nostro inviato) Lunedì 21 è iniziato il concorso della Mostra Internazionale del Cinema Nuovo nello storico Teatro Sperimentale di Pesaro, dove fin dalle prime ore del pomeriggio si sono raggruppati giovanissimi in attesa.

Il biglietto, gratuito, è rigorosamente digitale in codice QR e volonterosi addetti aiutano i non esperti a visualizzarlo. Sala gremita di persone di tutte le età e al limite del sold out, considerato l’obbligo di distanziamento.  I film si rivelano esperimenti  pioneristici di promesse che, con mezzi limitati,  mettono a profitto tutta la loro creatività. Nella prima giornata la visione d’insieme è quella di un’attenzione particolare alla madre terra, ai diritti umani e alle difficoltà del tempo che viviamo, senza lesinare critiche alle icone del cinema.

Il primo corto in concorso è stato earthearthearth di Daïchi Saïto, regista giapponese trapiantato in Canada che, partito dagli imponenti paesaggi delle Ande realizza immagini sempre più astratte. Arte visiva con pentagramma ad hoc, riflessione ipnotica e subliminale sulla Terra. La colonna sonora, gravida di echi ancestrali, fa pensare al turbinare dell’universo del quale il nostro pianeta è uno dei misteriosi ingranaggi.

A seguire This Day Won’t Last di Mouaad el Salem, opera prima sorprendente, girata in totale clandestinità ai confini della Tunisia per esprimere l’urgenza della testimonianza all’interno di un contesto di oppressione. L’esordiente tunisino Mouaad el Salem lo ha diretto, scritto, fotografato, montato e “interpretato”. Un film di ventisei minuti nel quale anche la voce di el Salem ha un’impronta narrativa d’impatto. This Day Won’t Last  dimostra come il privato sia politico: diario di un venticinquenne gay nella Tunisia odierna, dove l’omosessualità è ritenuta – secondo l’articolo 230 del codice penale risalente al 1913 come parte della legge coloniale francese – punibile con la detenzione fino a tre anni. E ciò nonostante le manifestazioni per i diritti delle persone Lgbtq, documentate anche nel film con alcuni estratti della marcia del 30 novembre 2019 a Tunisi.

E ancora Augas Abisais, del galiziano Xacio Baño che, attraverso il racconto della nonna e documenti reali,  ripercorre la storia tragica di un  antenato, chiamato a combattere la Guerra civile spagnola quasi bambino. Giovani vite demolite sul nascere, come purtroppo ancora oggi accade, in altre circostanze, in altri paesi.

Molto applaudito il primo italiano in gara, Adriano Valerio, con The Nightwalk. Adriano Valerio vive a Parigi e in un video al pubblico  ha spiegato di aver voluto descrivere nel suo corto l’esperienza di un amico partito per Shangai appena prima che scoppiasse la pandemia. Il film, costruito attraverso immagini fotografiche e video estemporanei, è stato volutamente diretto “a caldo”, senza lasciar sedimentare l’emozione perché fosse più sincera.  The Nightwalk trasmette quel senso di solitudine e disancoramento, anche attraverso situazioni di carattere personale, universalmente provate  durante la pandemia.  L’aspetto claustrofobico  nel film è ancora più accentuato per il fatto di trovarsi in una società con controllo militaresco.

Ultimo in ordine di tempo della prima giornata There are not Thirty-Six Ways of Showing a Man Getting on a Horse dell’argentino Nicolás Zukerfeld.  Zukerfeld si concentra sul prolifico regista hollywoodiano Raoul Walsh, che fu uno dei 36 membri fondatori di quell’Academy che ha creato il premio Oscar. A metà , però, il volo verso un’analisi sarcastica sugli eccessi della memoria cinematografica e sulla loro mutevolezza condivisa. L’ossessione per il western del regista si fa riflessione sul cinema classico americano e spy story intorno alla mitica frase di Walsh che da il titolo al film. Il tutto condito con ironia verso la critica militante e gli intellettuali che “spaccano il capello in quattro”.

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