Pesaro film festival 57. Gli anni ’70 nei filmati del “Collettivo cinema militante”

PESARO (nostro inviato) L’attività di contro-documentazione del Collettivo cinema militante, negli anni ’70,  serviva a raccontare quel lato della barricata che giornali e tv dipingevano tout court come nemico,  i componenti del gruppo si autofinanziavano e l’impegno politico e sociale era ciò che li caratterizzava. 

Presentato da Pedro Armocida, direttore artistico della Mostra del nuovo cinema di Pesaro,  il regista Ranuccio Sodi, classe 1953, senese di nascita ma milanese d’adozione, ha illustrato a una folta platea tre rari documenti degli anni ‘70, girati dal basso, soprattutto a Milano, dal Collettivo Cinema Militante e oggi conservati nel prezioso Archivio Cinema Nazionale Impresa. Il primo è un film del 1972 di 15 minuti, che titola “Maggioranza silenziosa”. Il secondo di 21’ 27” del 1975 si chiama “Pagherete caro, pagherete tutto”. Il terzo “Bologna 1977” dura 17’38”.  Alcuni filmati sono senza sonoro eppure significativi. 

Ranuccio Sodi verso la fine degli anni ’70 era studente e “cinemilitante”, realizzava cinegiornali sugli avvenimenti del periodo. In queste testimonianze storiche appare incredibile lo sdoganamento culturale della violenza nelle manifestazioni che, purtroppo, allora era considerato elettivo: “Compagno Varalli sarai vendicato dalla violenza del proletariato” oppure “Compagno Varalli, te lo giuriamo, ogni fascista preso, lo massacriamo”, gli slogan.  E poi la demolizione di vetrine, autovetture, il saccheggio di alcuni magazzini, i lanci di molotov, gli incendi alle camionette della polizia.“ Collettivo Cinema Militante” è stato sempre  lontano dall’ideologia della lotta armata, illusoria convinzione di non pochi, la sua funzione era testimoniare. Durante la presentazione dei filmati a Pesaro, Sodi ha sottolineato l’assurdità del gettar via la propria vita. Il regista ha aggiunto che i filmati conservati nell’archivio Cinema Nazionale Impresa sono imprescindibili perché sul clima di quel tempo il materiale, anche letterario, è quasi inesistente.

Sodi racconta la parabola del Collettivo cui apparteneva con queste parole: “L’esperienza del cinema militante, proseguita attraverso altre produzioni, finisce verso il 1977: eravamo personalmente conosciuti e accettati dai vari servizi d’ordine, che si fidavano “politicamente” di noi e ci lasciavano campo libero in tutte le situazioni; anzi, spesso ci avvertivano in anticipo di fatti che sarebbero successi, come occupazioni di case o manifestazioni improvvise, per permetterci di documentarle dall’inizio. Ma l’escalation violenta della seconda metà degli anni ’70 ci mise in condizioni rischiose; erano comparse le armi da fuoco, che vennero ripetutamente usate in manifestazioni di piazza nel 1977, con drammatiche conseguenze: il 12 marzo fu assaltata la sede dell’Assolombarda, in via Pantano, e le successive perizie accertarono che contro il palazzo degli industriali furono sparati colpi da più di trecento armi diverse. Poco dopo, ci fu la tragica morte dell’agente di polizia Antonio Custra in via De Amicis a Milano, il 14 maggio, colpito dai proiettili di alcuni “autonomi”. Avevamo capito che i tempi stavano cambiando e fummo anche ripetutamente minacciati (…)  In quel tipo di “movimento insurrezionalista”, passato “dalle armi della critica alla critica delle armi” non ci riconoscevamo proprio, e quindi preferimmo chiudere la nostra attività sul campo”. 

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