Teatro Quirino: “Servo di scena”, standing ovation per la magnificenza del teatro

Una sala gremita per la prima di “Servo di scena” di Hardwood al teatro Quirino di Roma, dove fanno faville tre giganti del teatro italiano: Geppy Gleijeses, Maurizio Micheli e Lucia Poli, per la regia di Guglielmo Ferro.

Una rappresentazione con un duplice omaggio: alla memoria di Ronald Hardwood, drammaturgo britannico di fama internazionale recentemente scomparso e a Turi Ferro, per celebrarne i cento anni dalla nascita e ricordarne la sua celebre performance nei panni di “Sir”.

Sul palco, i tre grandi maestri – 220 anni in totale – sono alle prese con un testo complesso di metateatro, che rivela la più grande fragilità dell’animo artistico: l’impossibilità di sopravvivere lontano dal palcoscenico, a dispetto dell’età e delle congiunture storiche. Neppure la Seconda Guerra Mondiale fermerà questa compagnia sgangherata dall’esibirsi, persino sotto i bombardamenti, al fine di tenere alto il morale degli inglesi ed esorcizzare il male che li attanaglia, oggi come allora. Norman, il servo di scena – un factotum a servizio del “Sir”- è interpretato da un brillante Maurizio Micheli, che con humour e ironia, restituisce al personaggio la verve british del dramma originale. «Per questa interpretazione – chiarisce – mi sono ispirato solo al testo di Hardwood, tralasciando la trasposizione cinematografica, che non ho neppure rivisto”. Un vero e proprio studio del personaggio a 360 gradi, che spazia dal ruolo del confidente a quello del maggiordomo, per soddisfare, al meglio, tutte le necessità del primo attore. 

Ed è Geppy Gleijeses, il direttore del teatro Quirino e pluripremiato interprete a rivestire i panni di “Sir” – con una performance sensazionale – che alterna la disperazione di un attore in declino, alla maestosità del ruolo di “Re Lear”. Ed è soltanto per merito di Norman, che, tra lacrime, recriminazioni e cali fisici, il vecchio “Sir” riesce a calcare la scena, ancora una volta. Un rapporto “servo-padrone” interdipendente, che riecheggia la commedia classica plautina, nella quale era il domestico a sbloccare la situazione in cambio dell’affrancamento; e invece qui, si prodiga, per vedere riconosciuti i suoi meriti, mai davvero apprezzati. E non a caso, nelle sue memorie, “Sir” ringrazia tutte le maestranze, eccetto il suo fidato “servo di scena”, che se ne fa in cruccio fino alla fine. 

E, invece, l’alter ego femminile di “Sir” è sua moglie “Milady”, interpretata da una Lucia Poli di ineguagliabile talento ed eleganza; dapprima, compagna devota e sottomessa, poi, una moderna first lady, che assume nuova consapevolezza di sé e del mondo che la circonda. «Il mio è stato un ruolo minore, rispetto ai due protagonisti – racconta l’attrice toscana – ma il mio personaggio è stato l’unico ad aprire gli occhi e ammettere la verità: la necessità di smettere di recitare, prima di rendersi ridicoli ». Afferma, al contrario, Norman: «In teatro non si è mai soli, mai disperati, c’è sempre la primavera e la bellezza». Ed è proprio a questa magnificenza, che “Sir” non riesce a rinunciare e come il vero “Re Lear”, muore alla fine dell’atto, come un soldato sul campo, mentre assolve la sua funzione primaria: restituire dignità e bellezza alla vita, sino al suo ultimo respiro. 

Al teatro Quirino di Roma, dall’8 al 20 febbraio:

“Servo di scena”

di Ronald Hardwood

traduzione di Masolino D’amico

con Geppy Gleijeses, Maurizio Micheli, Lucia Poli

con Roberta Lucca, Elisabetta Mirra, Agostino Pannone e Antonio Sarasso

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