Lunana: il villaggio alla fine del mondo

Se volete riempirvi gli occhi di viaggio, di bellezza e di emozioni allora “Lunana: il villaggio alla fine del mondo”1 del regista Pawo Choyning Dorji è il film che dovete vedere!

Un giovane maestro del Bhutan, demotivato e col desiderio di trasferirsi a Sydney e di diventare un cantante di successo, viene spedito dagli uffici governativi nella scuola più isolata del paese, anzi del mondo: Lunana. 56 abitanti, oltre 5000 metri di altitudine, 8 giorni di cammino a piedi per arrivarci.

Una vallata incantata, circondata da una natura selvaggia e serena, come i suoi abitanti.

Una punizione a prima vista per Ugyen che dovrà stare lì fino all’arrivo dell’inverno, due mesi per insegnare ai piccoli ragazzi di Lunana a leggere, scrivere e a far di conto.

Senza cellulare, senza tv, senza elettricità, senza connessioni, se non quelle potenti con lo spirito del luogo e dei suoi abitanti, con lo spirito dei monti, dei fiumi e degli yak che da sempre convivono insieme agli abitanti di Lunana.

Un ritorno all’essenziale, un “senza” che, col passare delle settimane e delle stagioni, diventerà  per Ugyen – e anche per noi- un “pieno” di tutto. 

La piccola aula sporca, priva di ogni strumento e materiale si riempirà di gioia, di apprendimento, di tavoli messi in cerchio, di cartelloni, di disegni, di lavagna e gesso costruita dalle sapienti mani di uno degli abitanti di Lunana.

Un pieno di connessioni col creato, di armonie, di interdipendenza. Col capo villaggio, anzitutto, che riconoscerà in Ugyen un legame karmico, la reincarnazione del suo amato yak, ucciso con grande dolore in gioventù  quando anche lui, abile cantore, decise di lasciare Lunana per andare altrove. 

Un pieno di delicati sentimenti e di relazioni profonde tra Ugyen e i piccoli alunni della scuola ai quali il maestro saprà insegnare le lettere dell’alfabeto a suon di musica e di divertimento. Un pieno che sboccera’ nella relazione con la ragazza del villaggio che canta sulle alture dei monti, incurante che qualcuno la possa ascoltare o meno perché “quando la gru nera canta non si chiede se servirà a qualcosa o a qualcuno, canta e sparge bellezza intorno a se e questo le basta”.

E così Ugyen, in questa pienezza respirata e vissuta, ritroverà se stesso a Lunana, la sua voce, il suo percorso. Un itinerario di riscoperta non lineare, semplice, scontato e tuttavia autentico. Ugyen, con l’arrivo dell’inverno, secondo i piani previsti, lascerà Lunana per rincorrere il suo sogno “occidentale” di successo a Sydney. 

E forse tornerà a Lunana (o forse no)  perché “uno yak torna sempre a casa”,  la ragazza dal canto sublime l’aspetta e da qualche parte quelle connessioni, quel “pieno di” risuona ancora in lui, anche tra i rumori, la velocità e l’indifferenza della sua vita a Sydney. 

Ugyen, che come tutti i maestri, ha l’inestimabile potere di “toccare il futuro”.

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