Newton Compton. “Il traditore della mafia”, Tommaso Buscetta secondo Vito Bruschini

Vito Bruschini, giornalista e scrittore, continua a pubblicare romanzi fortemente ispirati alla realtà, ma trattando i vari soggetti in modo del tutto personale, a volte raccontando delle verità, a volte formulando ipotesi più che realistiche; comunque avvincendo il lettore con l’intensità del suo racconto. Dopo aver trattato argomenti “spinosi” come il Club Bilderberg, Il Caso Orlandi, o Piazza Fontana, questa volta si è cimentato con il racconto della mafia, dei suoi uomini, dei tradimenti di alcuni; o di altri (dipende dal punto di vista!)

IL TRADITORE DELLA MAFIA è stato edito in contemporanea con il film di Marco Bellocchio “Il Traditore”, non perché i due lavori sviluppassero tesi similari, ma perché trattavano il medesimo argomento, anche se con diverso metodo e finalità.  Il romanzo di Bruschini, parafrasando e amalgamando realtà e fantasia, ci racconta una storia di mafia che tutti noi ben conosciamo, avendola vissuta direttamente come storia recente, ovvero avendola appresa dai libri o dai saggi pubblicati.  L’ultima fatica di Bruschini, scritta in maniera ineccepibile e con una penna fluida ed emozionale, ci racconta infatti la vita di Tommaso Buscetta, il primo “pentito” della mafia palermitana. Colui che ha permesso per primo di svelare un mondo fino ad allora misterioso e impenetrabile.  Nella realtà romanzesca, Don Masino diventa Tommy Branciforte mentre degli altri personaggi l’Autore mantiene i nomi propri per renderli riconoscibili. 

Diciamo subito che l’elemento principale che emerge da questo lavoro è l’aspetto umano di Tommy (ovvero don Masino). Aspetto umano che l’Autore cura sin dall’inizio, dedicando numerose pagine proprio all’infanzia di questo personaggio, rivelando episodi e fatti praticamente sconosciuti, che si saldano con il momento adolescenziale e che comunque mettono in luce da subito il comportamento da inguaribile “fimminaru” di Tommy; un dongiovanni che però avrà un unico, vero, grande amore, per Cristina, la ragazza brasiliana conosciuta a Rio de Janeiro: una “ragazza di Ipanema” doc che gli fece perdere la testa per sempre! 

Il racconto romanzato ovviamente ci fa rivivere intensamente la guerra mossa dai “corleonesi” nei confronti dei boss “palermitani”: una guerra feroce, che fece saltare tutte le regole non scritte del cosiddetto “codice d’onore”.  Il tutto, narrato attraverso la lunga testimonianza resa al “giudice” (Giovanni Falcone), che permise di svelare un mondo totalmente sconosciuto alla giustizia, permettendo di arrivare al famoso maxiprocesso, nella celebre aula bunker, con le prime condanne pesanti per un mondo criminale che Tommy, a sua volta, considerava “traditore”.  Il pool antimafia ottenne 19 ergastoli, 2665 anni di carcere inflitti: insomma, fu il primo segno di riscossa dello Stato. Secondo il protagonista della nostra storia (e qui calchiamo ancora l’accento sull’aspetto umano), erano stati proprio “i viddani” (contadini), ossia i corleonesi a tradire per primi certe norme fondamentali da sempre rispettate dagli “uomini d’onore”. E Tommy, che si è visto massacrare due figli, un fratello, un cognato etc., non poteva accettarlo; e così ha deciso di svelare quel mondo al “giudice”. E tra palermitani… Tommy e Giovanni si sono compresi benissimo; e si sono anche rispettati reciprocamente, sotto il profilo umano.

Il romanzo nel suo complesso è scritto molto bene (come sempre, d’altronde: conosciamo la “penna” di Bruschini!). Esso contiene momenti d’intensa narrazione e passaggi addirittura avvincenti. Ci riporta indietro nella nostra storia recente, dimostra un enorme lavoro di documentazione fatto per rispondere puntualmente a tutti gli interrogativi che un simile impegno comportava.  Ci restituisce un’immagine – se possibile – in positivo di un boss che solo una volta si è sporcato le mani con la droga. Un boss che ha immediatamente compreso il danno sociale di tale fenomeno e che pertanto è entrato in rotta di collisione con gli altri capi-bastone. E che, con la sua “confessione” ha in parte riscattato la sua immagine di “uomo d’onore”. 

 

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