Libri. Mater Dolcissima. Il debutto letterario di Roberta Palopoli è un acre trompe l’oeil della società delle apparenze

Quelle gestite “per necessità” dalla stessa famiglia

C’è un universo femminile imploso ma gradualmente e inconsapevolmente deflagrante all’interno di una fra le trame narrative più originali prodotte dalle nuove autrici del panorama letterario italiano. Stiamo parlando di “Mater dolcissima”, esordio editoriale (Emersioni editore) di Roberta Palopoli. Autrice dalla scrittura facile e coinvolgente che pennella situazioni, atmosfere e personaggi come se vissuti in prima persona; anche se di autobiografico, possiamo immaginarlo, potrebbe  sussistere solo l’ambientazione. Si tratta infatti di una Roma Nord ricca fuori e arida dentro, in cui l’educazione sentimentale è stata sopraffatta dal formalismo borghese, occultante e scontato, ma sorprendente per il modo in cui si insinua, merito della penna fluttuante dell’artefice di questa storia, in un intreccio davvero anomalo. All’apparenza complicato, ma frutto di una tessitura tragica e assurda che si rileva in una quotidianità che si lascia vivere senza reagire. Alla “base” del racconto vi è il caso: un destino che trasforma il legame tra due sorelle in qualcosa di morboso e inquietante per una delle due, di fronte all’ineluttabilità tragica degli eventi. Alle radici di questa “base” c’è poi la disperata ricerca d’amore, condita dal senso di abbandono, dall’inettitudine (o paura d’agire mascherata) del mondo maschile che circonda la protagonista, Anna, rinunciataria all’inevitabile, complice delle apparenze, ma rivoluzionaria negli intenti più introspettivi. La “sacra famiglia” di origine e un marito-padre “artificiale”, concentrato nella sua carriera professionale, rappresentano le due forze motrici che alimentano una vicenda lunga mezzo secolo, coprendo le magagne di un vuoto reale, quello della comunicazione e della verità degli affetti. A farne le spese, condizionandone sensibilità e alterandone la personalità, una compagna di vita, sposata per una promessa fatta alla prima moglie in punto di morte, e un figlio unico, voluto inizialmente e costantemente viziato ma perennemente trascurato.

Il “lui”, vissuto e continuamente rigurgitato dal corpo e dalla mente di Anna, così come anche gli “essi” che scopre nelle varie fasce biologiche della sua tormentata esistenza, sono il ritratto di una società borghese in cui la verità ed immediatezza di opinione e di gesto vengono accantonate in favore della convenienza e del quieto vivere: un “modus pensandi” che, nello sciame sismico di tradimenti e velate menzogne, rischia di fare impazzire i sognatori dell’Autentico, destinandoli ad una sofferenza che taglia il respiro, o ad una preghiera sovrannaturale. La “mater dolcissima” verso cui si rivolgono le proprie speranze, benché continuamente disilluse,  diventa quindi uno scoglio roccioso cui aggrapparsi durante un naufragio o una illuminante guida spirituale verso un drastico cambiamento: e per attuarlo, in fondo, basterebbe ricevere poco. Una semplice carezza, una parola confortante, un caloroso abbraccio: purché sinceri…

Il finale è a sorpresa, dischiuso in punta di piedi su una passerella che porta alla liberazione… o al baratro. Convincente esordio con uno stile asciutto e cinematografico che ben sintetizza gli stati d’animo della donna incompiuta con momenti di acuta riflessione psicologica nei quali è forse un tantino pericoloso rispecchiarsi.

 

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