L’autore Rodolfo Martinez, reduce dalla prima presentazione romana del suo nuovo romanzo: “Kokopelli, il vento che suona”, ci racconta i retroscena del suo libro, dedicato a un pubblico giovane.
Com’è stata la sua prima presentazione di “Kokopelli”?
Sono stato contento del buon esito dell’evento – tenutosi sabato 11 presso la libreria Mondadori del Centro Commerciale Aura – che ha ottenuto una grande adesione e accoglienza, malgrado il caldo e il caos romano. Il merito della riuscita va alla relatrice Lisa Di Giovanni e all’accompagnamento musicale del maestro Eugenio Galassetti, che col flauto traverso ha dato ritmo ai brani del libro interpretati dalla bravissima attrice Angelica Cinquantini.
Nel libro, c’è qualche riferimento autobiografico?
Devo ammettere che questo romanzo è stato per me come una sorta di diario della mia vita. Per evitare riferimenti a persone care, ho utilizzato nomi inventati; c’è anche molta finzione, soprattutto per quanto riguarda la storia dei nativi americani: un argomento che sin dall’infanzia mi ha affascinato. Comunque, il percorso di Rey assomiglia al mio, dall’adolescenza sino a oggi.
E invece cosa c’è di vero sul mito di “Kokopelli”?
Kokopelli è una divinità di cui sono venuto a conoscenza grazie a un viaggio compiuto 20 anni fa nelle riserve indiane e che qui ho riadattato in chiave narrativa. Il mio obiettivo era quello di raccontare la storia di un adolescente qualsiasi la cui vita sarà agevolata dalla spiritualità dei nativi e dalla pratica delle arti marziali.
Ai tanti ragazzi come Rey, in crisi adolescenziale, cosa suggeriresti?
Il mio consiglio è di non smettere mai di sognare e di lottare: senza rimanere fermi ad attendere il corso degli eventi. E di dedicarsi all’apprendimento delle arti marziali antiche, come il karate, che contribuiscono alla realizzazione personale dal punto di vista interiore.
E in che modo, le arti marziali, contribuirebbero alla crescita personale?
Attraverso la pratica di queste discipline si riescono a individuare i propri difetti e grazie all’insegnamento dell’umiltà e della determinazione, si è in grado di raggiungere la migliore versione di se stessi.
Il suo libro si può definire come un inno alla resilienza, è d’accordo?
Si, è davvero così. La stessa resilienza che ho vissuto sulla mia pelle.
Quale messaggio il libro intende trasmettere?
Il messaggio sotteso, ad esempio nel rapporto di amicizia tra Rey e Angelo, un suo coetaneo paraplegico, è che bisogna sempre avere la forza di reagire anche di fronte agli eventi più funesti. Dietro c’è sempre il sole.
Il libro è dedicato a una fascia d’età in particolare?
Si tratta di una fiaba per adolescenti, ma che consiglio a tutti.
Ha dedicato il romanzo a suo padre. Come mai?
Ho dedicato “Kokopelli, il vento che suona” a mio padre, perché subito dopo la sua perdita ho provato questa grande ispirazione e sono riuscito a scrivere questa storia in sole 20 notti, sebbene non mi cimentassi nella narrativa dal 2007. Ritengo sia stato, anche merito suo.
Qual è il tuo motto?
Scherzare seriamente: coniugare un’anima bambina con una mente adulta.
E come ti definiresti in breve?
Un samurai col cuore di un bambino.