A colloquio con Marco Lugli, autore di “Sette domande per Dio”: un metalmeccanico della scrittura

Marco Lugli è uno scrittore e fotografo, con un talento artistico a 360 gradi.

Dopo un esordio nella narrativa tradizionale, ha deciso di autoprodursi per tagliare su costose mediazioni editoriali e ha ottenuto grande successo come giallista con la saga del commissario Gelsomino: “Nel Tuo Sangue” (2015), “Ego Me Absolvo” (2017), “La Madre” (2020), “Le Sepolture” (2021), conquistandosi i primi posti della classifica di settore su “Amazon”. Ed è durante la pandemia da Covid19, che ha deciso di parlare dritto al cuore dei suoi lettori, con ironia, cimentandosi in “Sette domande per Dio”: un libro umoristico, ma di grande profondità. Ci racconta direttamente il suo excursus creativo. 

Cosa ti ha ispirato a produrre “Sette domande per Dio” ?

Non amo tanto la parola “ispirazione” associata al mestiere di scrittore perché lo dipinge come un lavoro per persone dotate di chissà quale super potere intellettivo; noi scrittori siamo, invece, per la maggior parte, esclusi i talenti cristallini: “metalmeccanici della parola”. Questo romanzo nasce piuttosto con un duplice scopo: il primo è ricordarci che c’è stato un tempo in cui ridevamo e scherzavamo su tutto ciò che oggi non viene più tollerato, a causa della censura del politicamente corretto e che lo facevamo utilizzando termini oggi messi alla berlina; non deve essere certamente l’uso di un vocabolo a determinare cosa sia realmente volgare e offensivo, ma il contesto e l’intenzione. Per dirla in breve: serve intelligenza e sensibilità. Il secondo scopo è stimolare riflessioni sui grandi temi escatologici – quali l’esistenza di Dio e la vita dopo la morte – e su quelli esistenziali come la convivenza sociale, la guerra, l’amore e l’odio, attraverso una prosa strampalata e divertente, sulla scia di scrittori quali: Douglas Adams con la sua “Guida Galattica per gli autostoppisti”, Stanislaw Lem con “Cyberiade” o Tom Robbins con i suoi romanzi.

In quale dei personaggi ti identifichi maggiormente e perché?

A dir la verità, sono un po’ tutti e nessuno. Ho esperienza nella gestione di una struttura ricettiva, per cui è ovvio che abbia attribuito alcune situazioni comiche che ho vissuto alle vicende del protagonista Elia; ma il mio atteggiamento nei confronti della vita è più simile, intellettualmente, a quello di Aronne – lo studente di filosofia eternamente fuori corso – e dal punto di vista comportamentale, alla suscettibilità di Ada, la fidanzata nera di Elia.

A chi consiglieresti il libro?

Vorrei che questo libro agisse come una medicina contro la mente chiusa, tanto da consigliarlo a chi ritiene di averne una. Ma, in realtà, consigliare qualcosa a chi è chiuso, è del tutto inutile, per cui lo raccomanderei a chi si ritiene aperto e predisposto a farsi due risate.

La filosofia come chiave per decifrare la realtà, credi che sarebbe utile insegnarla a tutti nelle scuole?

Certamente. Lo riterrei più utile che obbligare i bambini ad ascoltare teorie di genere prima che abbiano gli strumenti per comprendere di cosa si tratti. La filosofia può essere complessa, ma andrebbe considerata, in ambito scolastico, come uno strumento per allenare la mente al pensiero critico. Per offrire a tutti, quegli strumenti conoscitivi e di ragionamento necessari per riflettere sui temi della vita, della morale e della società.

Hai in mente un seguito o un nuovo libro su questo filone umoristico?

Al momento, sto lavorando alla nuova indagine del commissario Gelsomino essendo ormai entrato nel cuore di migliaia di lettori che ne stanno aspettando il seguito. Mi piacerebbe, in verità, poter scrivere ancora sulla scia di “Sette domande per Dio” e soprattutto con la stessa libertà espressiva di cui mi sono avvalso per la stesura del romanzo.

Come ti definiresti in una parola?

Inquieto.

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