Arturo Bernava, scrittore e giornalista racconta “Le risate del mondo”: il suo nuovo romanzo storico, intriso di emozioni e suspense

Arturo Bernava è già noto alla critica e al pubblico per aver vinto numerosi concorsi letterari con il suo primo romanzo “Il colore del caffe” e aver ottenuto pregevoli riconoscimenti, tra i quali spicca la medaglia della Presidenza del Senato, con i racconti “Elevatementi”.

Ritorna, dunque, alla narrativa con “Le risate del mondo”: un romanzo storico corale, che è ambientato alla fine della Seconda Guerra Mondiale, a cavallo dell’armistizio dell’8 settembre del 1943, che ha segnato la resa degli italiani agli Alleati e la brutale reazione tedesca sul territorio. Un libro, carico di suspense, di sentimento e di coraggio e dal grande valore documentario: ne parliamo direttamente con l’autore.

Da cosa ha tratto ispirazione per il suo romanzo: “Le risate del mondo”?

Anni fa ho raccolto una testimonianza diretta: un’anziana signora di nome Maria mi ha raccontato i tempi difficili in cui ha convissuto con la guerra a pochi chilometri di distanza. Erano giorni di preoccupazione, ma nei paesi, sino a una certa data, si stava relativamente sereni.  Poi, quasi improvvisamente, arrivarono lo sfollamento, la fame, la paura delle bombe. Mi colpì, però, che il racconto di Maria non era triste, bensì filtrato dagli occhi di una bambina che vedeva il mondo come fosse un enorme circo. Anche in un periodo buio come quello, filtrava la luce della speranza. 

A chi si rivolge il suo romanzo e quale messaggio si prefigge di trasmettere?

Si rivolge a chi ama libri dalle trame ricche e dense di colpi di scena, con un po’ di giallo, di rosa e di noir. Il messaggio è lo stesso che trasmise Maria a me a suo tempo: la guerra è brutta e assurda, ma l’essere umano, nei momenti di difficoltà sa dare il meglio di sé. Osservare il mondo con gli occhi di un bambino, anche da adulti, può essere il giusto approccio alle brutture della vita. 


Con quale dei suoi personaggi si identifica maggiormente?

Mi identifico con la nonna della piccola Maria, che – come capita dalle nostre parti dove i nomi si ripetono – si chiamava anch’ella Maria. Si tratta di un personaggio taciturno, molto particolare: ha lunghi periodi di assenza, dal punto di vista mentale, durante i quali sembra immersa in un mondo tutto suo; anch’io mi sento spesso così: continuamente perso dietro una storia, un percorso interiore da seguire – salvo poi scoprire – che malgrado la “distanza”, si continua ad essere incredibilmente vigili. 


Ha già in cantiere un altro libro?

Ne ho due, per la verità. Il primo narra le gesta di quattro ragazzi innamorati della musica che, negli anni ’80 sognavano un futuro nel mondo dello spettacolo. Chissà se finiranno come i “Quattro amici al bar” di Gino Paoli… Il secondo si intitola “Storie di un (bancario) (quasi) (onesto)” ed è un giallo noir: già dal titolo si può evincere la particolarità del libro.

Come si definirebbe in una parola?

Complesso. Che significa complicato, ma anche complesso, nel senso sinfonico del termine – una volte le band si chiamavano appunto “complessi” – : pieno di musica, di note, di sonorità e di qualche stonatura.

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