La vedova

La signora abitava a poca distanza da casa mia: dal balcone della mia camera riuscivo a vedere quello della sua cucina. È proprio lì che l’avevo notata, perché usciva pochissimo in paese ed era raro incontrarla per strada, ma su quel balcone ci passava davvero tanto tempo.                                

La vedevo mentre stendeva decine e decine di magliette, pantaloni,calzini; i suoi gesti erano velocissimi, quasi meccanici. Era piccola e magrissima e tutti i vestiti sembravano starle larghi, il viso non lo avevo mai visto con attenzione perché aveva una frangetta molto lunga che ricadeva sulla fronte coprendole un po’ gli occhi. Quando usciva sul balcone sembrava sempre indaffaratissima come se chissà cosa ci fosse da fare in quei quattro metri quadrati! Ogni tanto, invece, la vedevo affacciarsi e appoggiata alla ringhiera si concedeva una sigaretta in solitudine; sembrava che si isolasse dalla realtà e che i suoi pensieri fluissero via col fumo, unica trasgressione di una vita ritirata. Il balcone era quasi sempre aperto e provenivano sordi rumori di stoviglie, la  donna doveva essere una maniaca del pulito perché gironzolava sempre con detersivi e spugne tra le mani, credo che protraesse la sistemazione della casa fino a tardi perché la luce del balcone restava accesa fino ad orari impensabili e io restavo a chiedermi cosa mai potesse fare in quelle tarde ore notturne. 

Nel periodo invernale perdevo le sue tracce, il balcone era chiuso per il freddo e le sue comparse erano ridotte al minimo. Una sera di Novembre la luce della cucina restò accesa fino a tardi, per tutta la notte la casa fu illuminata e quella fu davvero una notte infinita … sparì per qualche settimana, nessun calzino, nessuna maglietta, il balcone restò chiuso a lungo come se lei non volesse avere più contatto con il mondo esterno. La incrociai una domenica sulla strada del cimitero, lo sguardo basso sotto la frangia e un mazzo di crisantemi in mano, nell’altra stringeva forte quella di suo figlio, uniti a sfidare il freddo e il dolore. Non conoscevo il marito della signora sapevo solo che era troppo giovane per morire.

È triste la morte dei giovani e ai miei occhi è ancora più triste in inverno, quando il grigio del cielo ti entra dentro e ti insozza anche l’anima, rende i respiri più duri e i ricordi più amari. Quell’inverno fu lungo e freddissimo, la neve cadde morbida sulle strade, sulle macchine, sui tetti e sul balcone della signora che solo qualche volta scorgevo dietro le tende color pesca. 

Una bella mattina di inizio marzo, con il cielo terso e l’aria fresca, vidi spalancarsi il balcone: lei guardò attentamente fuori e fece passi lenti verso la ringhiera, come per riprendere confidenza con uno spazio troppo a lungo abbandonato. Notai che i capelli le erano cresciuti e la frangetta era sparita così da lasciarle il viso scoperto. Si afferrò forte al parapetto e con uno scatto alzò la testa in alto verso il sole, come a voler catturare tutta la luce possibile in quell’attimo. Stette così qualche minuto e io non riuscii a non pensare al dolore che aveva colpito quella povera donna, al lungo inverno passato, al suo bambino; mi sembrò qualcosa di insopportabile. Ma ora era lì, era riuscita a sopportare e ci sarebbe riuscita ancora, ne ero sicura. Con la sua solita velocità entrò in casa a prendere una bacinella colma di vestiti da stendere e in un attimo tutto sembrò tornare alla normalità.

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