La speranza è l’unico male non uscito dal vaso di Pandora

 

Orazio è pronto!” Disse la madre. Orazio nel frattempo era in camera sua, avvolto nei suoi pensieri, in cerca di una soluzione per far passare ancora una volta quel pomeriggio che sembrava non finire mai. “Orazio!! A tavolaa!!” Ripeté ancora una volta la madre, alzando ancora di più il tono della voce.

Orazio allora si distolse per un attimo dalle sue preoccupazioni esistenziali e scese per consumare quel benedetto pranzo, non avendo per altro ancora fame, vista l’ora. “Orazio ti ho preparato anche il purè.. e se vuoi dopo ci sono anche le melanzane!” disse Giulia, la madre. “Non ho tanta voglia mamma, non ho nemmeno fame, è mezzogiorno e mezzo!” replicò Orazio un poco dispiaciuto. “Hai novità? Dimmi figlio hai qualche novità per il lavoro? Lo sai vero che è quasi un altro anno che non lavori? Che intendi fare? Tuo padre poveretto questo mese perde pure il lavoro! Sarebbe ora che ti dessi da fare un poco per aiutarci o per lo meno per renderti autonomo! Cosa credi tu?” disse Giulia con tono dolce ma risoluto. “Mamma no, non ho nessuna notizia, qui non c’è lavoro, nelle altre città nemmeno. Lavora solo chi conosce qualcuno, chi è dentro al giro, chi ha amici in grado di aiutarlo sotto questo punto di vista.. Mi capisci vero? Sai anche tu come funziona! No? Se conosci ti aiutano, sennò puoi avere talento da vendere ma nessuno ti darà mai retta!! È così che funziona a questo mondo”. Orazio purtroppo aveva delle novità lavorative, ma erano tutte negative: mandava la sua candidatura ai vari datori di lavoro, alle varie aziende, ai supermercati, ai negozi, alle fabbriche, ma tutti, o almeno quelli che si degnavano di rispondergli, gli avevano sempre detto di no. Orazio non voleva far star male la sua famiglia, renderla partecipe dei suoi tanti “fallimenti”; non era giusto anche perché era un laureato in Lettere ed oramai aveva quasi 29 anni. Il passato di Orazio è totalmente differente dal suo presente; proviene da un piccolo paese del nord Italia, ora vive in una caotica città del Veneto. La sua adolescenza fu quella che gli fece vivere gli anni più belli della sua vita. Di amici era pieno, tutti lo conoscevano e sapevano chi era, e lui in quel posto, anche se lo definiva un po’ malinconico, si sentiva a casa. Ora invece si trova in una terra che non lo vuole, dove la gente, a suo parere, è fredda e cattiva. Non riesce a trovare dei suoi “simili”, come lui li definisce. Vive una vita completamente differente. Gli anni sono trascorsi, la laurea, le fidanzate, i vari “amici”: tutto passa, ma il ricordo non riesce a svanire. Il problema è che ora quegli amici non li sente più; come è normale che sia nel percorso della vita di un uomo. Chi per studio, chi per lavoro, chi per improvvisi cambi di direzione, chi per vari litigi e motivi o senza motivo, insomma: ognuno aveva fatto propria la sua strada e non la voleva più condividere con gli altri. 

Terminato il ricco pranzo nel giro di dieci minuti, il computer prese il sopravvento. Orazio usava questo attrezzo oramai divenuto indispensabile nella vita di tutti i giorni, per guardare la mail, inviare qualche curriculum e per scaricare della musica che dopo non ascoltava nemmeno. Non andava sulle chat, su quei programmi che tutti, giovani e vecchi, usano per conoscersi e scambiarsi momenti diversi della loro vita, decontestualizzati, attraverso foto personali e messaggi. No, a lui piacevano ancora le relazioni umane, anche se ne aveva sempre di meno. 

Due pasti al giorno non gli mancavano, non soffriva il freddo di inverno, aveva la macchina se gli serviva, ma tutto ciò lo lasciava sospeso nel vuoto. In quella terra, tutto era cambiato, la gente era come se non lo volesse, era strana, “malata”, aveva abitudini che non gli piacevano. Tutti sembravano rimproverarlo quando esprimeva le sue opinioni a riguardo del luogo in cui era costretto a vivere e gli dicevano “il mondo è paese caro mio..” tirando il solito sospiro di rassegnazione. 

Orazio odiava quella gente, non ne poteva più e non sapeva come fare per andarsene. Soldi non ne aveva abbastanza per potersi permettere una stanza e pagare le bollette. Era un vero incubo da cui non riusciva a svegliarsi. Disperato, indebolito, non aveva più le forze per lottare, stava per arrendersi al destino di rimanere in quel dannato posto. Addirittura non portava più fuori nemmeno il cane pur di non incontrare chi avrebbe potuto rovinargli la giornata. 

 

 

Il tempo sembrava non passare mai, ogni ora che passava, ad Orazio sembravano giornate intere. Doveva fuggire, ma come? Dove? 

Come si può pensare che il mondo possa girare attorno alla propria persona e basta, si chiedeva Orazio. Non aveva mai passato così tanto tempo a piangersi addosso, a sperare che qualcuno o qualcosa gli cambiasse la vita. 

Quanta televisione, quanto marcio che entrava nel suo cervello, che gli inquinava la mente, che gli distruggeva una corretta memoria degli eventi. Aveva paura di tutto. Di una realtà incomprensibile. “Che brutta cosa l’amore” pensava tra se….. “Più ami una persona e più le fai del male, è come se ti sentissi autorizzato a farlo”. Intanto fuori se c’era bello o brutto non gli importava nulla. Non aveva una ragazza e nessuno con cui confidarsi. Non era un idealista però ci teneva al rispetto reciproco e odiava i giochi di forza tipici dei bambini, che ogni giorno e sempre più riscontrava nel comportamento degli adulti, dei “sistemati”. Non voleva lavorare per un padrone a cui non importava niente di lui e della sua vita, perché sarebbe stato sicuramente maltrattato da una persona di questo genere. Non accettava questo tipo di sottomissione, per la quale ad un certo punto della vita un uomo deve annullarsi in un edificio e soccombere agli umori di chi lo comanda solamente per poter sopravvivere fisicamente. “È la fine..non c’è una via d’uscita..” . Poi ogni giorno subentrava la rabbia per aver gettato via il suo tempo e regalato del denaro a delle persone che lo avevano preso in giro. L’università e i suoi stupidi crediti, le stupide regole, i suoi falsi meriti. Si sentiva preso in giro, e anche maltrattato da questo. L’unica figura di importanza per lui era stata quella di un professore che aveva capito la sua umanità, e che lo trattava come un amico, ma purtroppo Orazio una volta conseguita la laurea non si fece più vedere, non lo andò nemmeno a salutare, poiché aveva capito in anticipo che ciò che aveva studiato non gli avrebbe permesso di fare nemmeno un lavoro che non avesse avuto a che fare con i cessi. Nell’estate era andato a lavorare al mare e proprio a lui era toccata la pulizia dei bagni della spiaggia, che erano peggio di quelli di una stazione. 

Aveva sempre fatto lavori umili, ma sperava di trovare qualcosa in cui potesse essere utile anche un suo ragionamento. Belle e sane utopie! La sua era una conoscenza pura delle cose, che non si preparava a servire nessuno e niente. Per questo era bandita dal mondo. Le persone di questo paese, secondo Campanin, sono le une contro le altre per partito preso. Non si può fare più nulla, questa è una guerra tra poveri che va avanti da troppo tempo per poter intervenire. 

 

Mi ricordo che Orazio odiava le discoteche, però amava fare festa, andare ai concerti punk e conoscere sempre nuove cose, soprattutto quelle che il sistema voleva tener nascoste. Aveva già conosciuto il mondo dello “sballo” fatto di droghe e di alcool, ed ora, che era cresciuto, non lo interessava più. Si ritrovava però in un contesto dove i suoi coetanei elogiavano in ritardo la vita che lui aveva già vissuto. Era anche annoiato da chi per cercare emozioni andava a studiare chilometri e chilometri di distanza da casa. 

 

 “La speranza è l’unico male che non è uscito dal vaso di Pandora”, pensava sempre più spesso. Sì, perché la speranza di emanciparsi era talmente grande per Orazio, che avrebbe preso al volo qualsiasi occasione per raggiungere il suo obbiettivo. Ma questo sperare in un evento esterno che cambiasse le cose da un giorno all’altro era per Orazio un insopportabile chimera. 

 

CONCLUSIONE 

Le persone stanno vivendo in un’era di dittatura, una nuova forma di tirannia semitecnologica, grazie alla quale si è inermi nell’agire, nel pensare e nel cambiare. Si può fare quello che si desidera solo se si hanno possibilità economiche; il lavoro è schiavitù, il padrone è ancora peggiore di quello che si poteva incontrare in epoca medievale e le persone tra di loro cercano di mantenersi nell’indifferenza. L’educazione, questa magia nera che ci hanno fatto subire sin da piccoli, ci ostacola nel nostro cambiamento e di conseguenza in quello sociale. Siamo viventi che dormono, sonnambuli. Quando ognuno si sveglierà anche solo per pochi minuti sentirà la preoccupazione di non avere nessuno al suo fianco per lottare, per cambiare e allora ritornerà nel suo stato di speranza e di fiducia nel futuro, che in realtà è già stato pensato e programmato da terzi dei quali non sappiamo niente. ..

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