Michael Jackson, il “folle pigiama” – racconto trentatreesimo

Dopo la perquisizione del 18 novembre 2003 Michael Jackson non aveva potuto continuare  ad abitare a Neverland. La sua isola di Peter Pan nei fatti “non c’era” più:   snaturata, popolata da fantasmi, ora lo deprimeva, come un bastimento affondato.

Senza saperlo,  lui  che non reggeva le sconfitte e cercava rifugio nella droga, anelava la fine  come una liberazione. Unico aggancio con la vita i figli che tuttavia, dal momento che stava molto male, non erano ammessi alla sua sofferenza. Michael nel 2004 si era  definitivamente trasferito a Beverly Hills, in una villa da venti milioni di dollari, lontano dai clamori. Passava il tempo a leggere giornali, ascoltare musica, parlare con gli avvocati, pregare il medico di calmare  il  dolore cronico, fisico o psichico. Ricordando i pellegrinaggi a Neverland delle associazioni benefiche per l’infanzia,   stringeva i  suoi piccoli  al cuore.
Piangi? – chiedeva il primogenito Prince Michael
Certo che no!   – mentiva suo padre
Sei il miglior daddy del mondo, non piangere… – Paris  non era convinta
Mi luccicano gli occhi… è un’allergia…
Certo –  Grace accorreva – ecco un fazzoletto per papà… venite con me… lasciatelo lavorare….
Grace Rwaramba filtrava come poteva la disperazione del re del pop soprattutto verso i  bambini. Compito da titani perché era lui stesso un infante. La tata si coricava stanca, angosciata. Sapeva che molti invidiavano il suo potere sulla popstar,  ma Grace era cosciente che la luce del capo, nella quale un tempo si riflettevano i dipendenti,  calava ormai verso la notte.

Gavin Arvizio, presunta vittima di Michael Jackson, era stato uno dei tanti minori presi sotto protezione a Neverland. Era stato indirizzato al cantante da  Jamie Masnada, fondatore di una organizzazione benefica per l’infanzia colpita dal cancro. In seguito Masnada si era rammaricato di avere messo la famiglia Arvizio in contatto col re del pop e  aveva testimoniato come il ragazzino, che credevano in fin di vita,  fosse risorto come Lazzaro grazie all’amicizia dell’artista.  Tra tutte le celebrità incontrate da Gavin, Michael era il preferito. Il cantante non era stato sempre disponibile quando il piccolo andava a trovarlo e una volta che lo trovò in casa, malgrado gli fosse stato detto che non c’era, Gavin ci rimase molto male. Janet Arvizo, la mamma di Gavin, prima della messa in onda del documentario di Bashir, ripeteva che nessuno aveva trattato suo figlio con tanto amore e  adorava la popstar.  Solo dopo il clamore seguito a “Living with Michael Jackson” era stata assalita dai sospetti. Consultato un avvocato la donna aveva condotto Gavin da un terapista e a lui il figlio aveva confessato le presunte molestie sessuali. Nella perquisizione di Neverland erano state trovate presunte lettere d’amore di Jacko al ragazzo. Un dramma. Charles Carbone, legale che si batteva per  i diritti dei detenuti,  se ne era uscito:  “Nella cultura dei nostri penitenziari i pedofili sono i più odiati. L’unica possibilità di scampo per Michael Jackson sarebbe la cella di isolamento”.

In preda a un panico che gli ansiolitici non fugavano,  la pop star  s’era aggrappata a Tom Mesereau l’avvocato più noto di tutta la California:  era stato  difensore di Mike Tyson e Robert Blake,   e al momento di occuparsi del suo caso aveva già  vinto sei appelli a pene capitali. Il legale, in perenne contatto con lui,  lo  informava e preveniva sull’andamento del processo:
Gavin ha raccontato che gli avresti fatto bere alcool… –  Mesereau  un pomeriggio disse al telefono
Assurdo – singhiozzò il cantante…
Stai calmo…  tutto si risolve …  anche la storia riportata dal Daily Mirror, quella che avresti fatto “rubba rubba”…
“Rubbing up” in italiano si può tradurre con “strusciarsi”,  “rubba rubba” potrebbe suonare  “struscio struscio”.   Michael sospirò:
–     Mai fatto giochi di struscio per eccitarmi coi bambini…
Lo dimostreremo… la madre di Gavin dice che volevi essere chiamato papà…
Questo è un delitto Tom?
Non è questo… la Arvizio ha precedenti per disturbi psichici, denunce per molestie, maltrattamenti, aggressioni…
Mi capitano solo sfruttatori!
Il padre di Gavin però ci sta dando una mano…  dice che la  ex moglie è una mitomane…  Janet Arvizo ha accusato certa gente di averla violentata…
E allora?
Non era vero … lei non è attendibile: è stata trovata in un supermercato a rubare e ha accusato le guardie che l’avevano scoperta di averla stuprata… Tom Sneddon dovrà salire sul banco dei testimoni per spiegare su quali elementi ha deciso di promuovere la perquisizione a Neverland.

Tom Sneddon era il procuratore distrettuale di Santa Barbara, per Jacko simbolo dell’inquisizione. Pensando a quell’uomo Michael aveva gli incubi: Sneddon si era occupato del caso Chandler e dieci anni dopo se lo era ritrovato davanti. Gli aveva dedicato un singolo dell’album   “HIStory past, present and future” e in tourné lo aveva cantato con rabbia. Protagonista della canzone Dom Sheldon, ma quel nome camuffava l’identità del procuratore. Il ritornello diceva: “Vogliono farmi il culo vivo o morto sai/ che ha davvero cercato di abbattermi /di sorpresa scommetto che c’entra la CIA/ non fa meta’ di quello che dice /Dom Sheldon e’ un uomo gelido”

Michael Jackson – DS

***

Dall’inizio del processo l’accesso in aula era stato vietato ad alcuni fan, gli addetti stampa con cellulare o palmare venivano espulsi, i giornalisti, sotto stretta osservazione dei fan e della sorveglianza del tribunale, non potevano bere, bisbigliare,  masticare chewing gum. Il mondo intorno a Santa Maria  era in trappola esattamente come la star. Dopo la sospensione dovuta al ricovero dell’imputato per una grave forma influenzale,  il 22 febbraio 2005 il tribunale di Santa Maria riprese il dibattito.  Michael si presentò indolenzito e stanco, guardando gli altri come pesci in un acquario. Le loro voci arrivavano da lontano e aveva nausea. Il  primo a parlare fu l’avvocato difensore :
Michael Jackson  è vittima di un complotto… –   Tom Mesereau enfatizzò la parola complotto –  ordito dalla madre del suo accusatore Gavin Arvizo, che ha fatto esplodere il caso per ricattare l’artista e spillargli dei soldi!
Tom Sneddon, dopo di lui, mosse le accuse:
–     Sono esattamente di parere contrario, Michael Iackson ha offerto ai bambini ospiti a Neverland  alcool e pornografia…

Il primo marzo del 2005 fu chiamato a testimoniare il fratello minore di Gavin, Star, che aveva allora non più di nove anni. Entrò in aula intimidito ma una volta al banco dei testimoni la voce non ebbe tentennamenti, quasi ripetesse ciò che aveva studiato:
Michael e un’altra persona ci hanno mostrato delle immagini di nudi su Internet mentre i suoi due figli, Paris e Michael, dormivano…-  osservò i presenti  e continuò –  Michael tirò fuori una valigia nera piena di riviste erotiche e le sfogliò davanti a noi…. ci disse di non dire nulla ai nostri genitori… – si fermò per prendere fiato –  Michael  ci fece bere in aereo nel 2003… io pensavo fosse Diet Coke, lui invece disse che era vino…
Quindi  indicò una rivista pornografica portata  dall’accusa.
Era  quella…
L’avvocato Mesereau  si avvicinò sbandierando il magazine:
Sei sicuro che fosse questa?
Certo.
Nessun dubbio?
No.
Allora come si spiega –  la voce del legale rimbombò nell’aula – che  è dell’agosto 2003?! Tutti sanno che la famiglia Arvizio aveva lasciato Neverland cinque mesi prima!
L’ incongruenza non fu mai chiarita.  Star Arvizio dichiarò inoltre di aver visto Michael Jackson sedurre suo fratello senza riuscire a spiegare perché mai, dati gli allarmi e  i sistemi di sicurezza a Neverland, Jacko non si fosse accorto, in occasioni tanto rischiose,  del suo arrivo. Ma non basta, Star Arvizio dovette ammettere di aver mentito nel 2002,  sotto giuramento, durante il processo nel quale sua madre aveva calunniato e trascinato in aula due guardie giurate di un grande magazzino, dove aveva commesso un furto.

La mattina del 10 marzo 2005 il tempo era grigio e sonnacchioso. Giornalisti, curiosi, fan, familiari e amici avevano preso posto in tribunale. A udienza iniziata Michael Jackson non c’ era ancora e serpeggiava preoccupazione tra gli astanti.  Il giudice Melville, perentorio,  aveva annunciato che il cantante avrebbe dovuto presentarsi entro le 9.30. pena l’arresto e la perdita della cauzione di tre milioni di dollari. La stampa, dietro le postazioni, scommetteva sull’arrivo o meno mentre i notiziari davano gli aggiornamenti. I giornalisti in elicottero annunciavano di aver avvistato il re del pop mentre viaggiava a una velocità superiore ai 140 chilometri orari. Fan, curiosi, addetti ai lavori, tutti nervosissimi: chi telefonava, chi mandava sms, chi spediva email, il  brusio diventava chiasso infernale. A un tratto il cellulare di Tom Mesereau squillò, l’uomo ebbe una concitata conversazione,  si avvicinò al giudice Meville e disse:
Michael Jackson è al Cottage Hospital di Santa Ynez con seri problemi di schiena. Ma sta per arrivare… il dottore vuole parlare al telefono con lei…
Il giudice Melville lo guardò severo:
Sto per spiccare un mandato d’arresto, Jackson sta mancando alla libertà vigilata…
Tom Mesereau eloquente:
Vostro onore!
Tra un’ora quest’ordine diventerà esecutivo. La Corte si ritira – rispose  Melville.

L’ora era oramai passata. L’avvocato Mesereau, la famiglia Iackson e i sostenitori fremevano. Certi di uno scoop inatteso gli inviati  chiamarono il giornale.  Michael  non dava segni di vita. Palpabile strazio dell’attesa. Sette minuti dopo il tempo stabilito finalmente la macchina di Michael Jackson comparve. Finalmente si udirono dei passi e inconfondibili colpi di tosse: tutti lo videro uscire dalla vettura. Il re del pop  pallido, coi capelli arruffati, con  un blazer nero direttamente sopra un pigiama a fiori e bottoni blu, ancora con pantofole ai piedi,  andò prima in bagno poi, attraverso la porta secondaria, entrò in aula. Alla visione di quell’ uomo disfatto, appena sceso dal letto,  i presenti restarono sbalorditi.  “Dio mio non si è vestito!” pensarono gli astanti, ciascuno commentando il significato del  “folle pigiama”, perché qualsiasi cosa facesse era  stramba. Pensarono avesse preso troppi farmaci perché trascinava i piedi troppo lentamente.  Il giudice Melville, a quel punto, rientrò e disse:
– Mi spiace per il ritardo. Il signor Jackson ha avuto un problema medico questa mattina e ho dovuto ordinare la sua comparizione.
Era il giorno della deposizione del suo accusatore: Gavin Arvizo. Michael Jackson prese posto e lo vide. Si fissarono negli occhi. Quelli di Jacko, da cui scendevano  lacrime stanche,  avevano interrogativi primordiali.  Gavin abbassò lo sguardo e  salì al banco dei testimoni.

(continua)

Condividi sui social

Articoli correlati