Jacko, il verdetto – racconto trentaquattresimo

Gavin Arvizo,  curato, vestito di una elegante camicia blu e pantaloni neri, sedette al banco dei testimoni lanciando un’occhiata a sua madre,  al giudice Rodney Melville,  al  procuratore distrettuale.  Colse lo sguardo di Michael e  di nuovo lo fuggì. 

La popstar, dopo averlo messo a fuoco tra le lacrime,  ebbe l’impressione di vederlo per la prima volta: in quel momento aveva quattordici anni, ma il tempo trascorso – si chiese Michael – poteva procurare tale metamorfosi?  O era l’ indole segreta a emergere? Gavin era un altro: freddo, duro, impenetrabile come una sfinge.  Restò di stucco e si accinse ad ascoltarlo.
Asciugatosi il naso con il dorso della mano, l’ accusatore raccontò:
– Sono latino-americano. A dieci anni mi è venuto un cancro al quarto stadio. Me lo hanno tolto, pesava sette chili….
Nell’aula si sollevò un mormorio.
–  Continui – disse il giudice Melville.
–   Lo hanno asportato dall’addome… ho perso un rene e anche la milza…
Esclamazioni di raccapriccio tra i presenti.
–   Poi lo hanno trovato nei polmoni e nei linfonodi… con i miei fratelli sono andato a un campo per ragazzi sfortunati a Los Angeles e  il fondatore ci ha messo in contatto con Michael…    nel 2000 siamo stati  a Neverland per  la prima volta… quella notte Michael ci ha fatto vedere pornografia su un computer…  ha detto a Prince che si stava perdendo un sacco di fica, ma suo figlio dormiva…  davanti a una ragazza con i seni grandi,  ci ha chiesto se faceva il latte…
O forse li hai visitati da solo quei siti?! –  gridò la difesa dell’artista  –  quello era un computer portatile che ti aveva regalato Michael Jackson!
Seduto tra il pubblico, il rabbino Shmuley Boteach, ex consigliere della star,  ricordò  che quel giorno stesso lui e la sua famiglia erano stati ospiti del re del pop,  rammentò come  il cantante fosse fiero di mostrare la sua generosità, come fosse evidente la poca  confidenza con gli Arvizo, come avesse invitato anche  le sue figlie in  camera da letto. Si meravigliò del racconto del ragazzino, tra l’altro notò come – quando  testimoniò sui presunti abusi sessuali – la sua versione fosse totalmente differente da quella data dal fratellino Star. Le incongruenze erano troppe, pensò,  e  provò pietà  guardando  il volto emaciato di Michael.

Incalzato dalle domande del procuratore Sneddon,  la deposizione dell’accusatore fu interminabile. Spaziava dal 2000 sino al febbraio 2003 , periodo della diffusione del reportage di Bashir. Anche la giuria sembrava perplessa perché il resoconto di Gavin non concordava con quello, precedentemente esposto, da suo fratello. Il re del pop ogni tanto scuoteva la testa incredulo.
– Prima della messa in  onda di “Living with Michael Jackson”  – disse Gavin Arvizo –  Michael  mi ha chiamato da Miami e mi ha chiesto di raggiungerlo per preparare insieme una contro-intervista…  è stato lì che mi ha fatto bere vino dicendo che era succo di Gesù… non mi piaceva e lui ha detto che mi rilassava… Mi ha regalato un orologio da 75.000 dollari…
– Ti sentivi ubriaco? –  chiese il procuratore Sneddon
– Non lo so…
Silenzio.
Forse sì –  si corresse  il ragazzo – dopo sono stato ancora a Neverland… mia madre era preoccupata perché temeva che lo staff di Michael ci volesse uccidere…
L’aula rumoreggiò.
Io, mia madre e mio fratello,  siamo andati a Miami…
Tom Sneddon  domandò:
Quando sei stato interrogato dall’Ente per la tutela dei minori perché hai detto che non era successo nulla?
Era la verità, le molestie sono arrivate dopo…
Quando?
Dopo la messa in onda del documentario di Bashir.
Cosa è successo?
Mi ha masturbato… Michael ha detto che doveva farlo perché chi non  si masturba diventa instabile e stupra le ragazze…
I presenti trovarono strano che il re del pop insidiasse un bambino proprio nel momento i cui gli occhi di tutti erano puntati addosso a lui. Arvizo aveva dichiarato alla polizia di essere stato molestato sei o sette volte, ma non sapeva descriverne le circostanze:
–  Mi sento come quando non sai se qualcosa é realmente accaduto o no… – aveva spiegato.

Quando venne il turno della difesa, Tom Mesereau lo fissò a lungo  nelle pupille,  trattò il minore come un adulto, incalzandolo veloce e distaccato:
–   Gavin tu sai cosa è la masturbazione?
Il ragazzo assentì.
Chi te lo ha spiegato?
La nonna…
Era contraria?
Favorevole…
Perché?
Diceva che chi non si masturba diventa instabile e stupra le ragazze…
Allora quelle non sono affermazioni di Michael Jackson! – gridò l’avvocato e tornò al suo posto. Il chiasso  divenne così assordante che il giudice  Rodney Melville dovette faticare per riportare in aula la calma.

Michael Jackson lasciò il tribunale accompagnato dalle guardie  del corpo. Salì in macchina e chiuse gli occhi. Non riuscì a parlare. Rifletteva come l’innocenza non fosse connaturata all’infanzia:  quella era solo la fanciullezza del camaleonte,  vecchia come il cervello del rettile. L’autista imboccò la via dell’ospedale dove la star avrebbe riversato la  stanchezza di mesi sconvolgenti.  Mai, come in quel momento la vita fu insopportabile per Jacko, neanche la morfina placava il dolore  e si domandò se lo potesse il suicidio. Mentalmente prese a canticchiare Money, una  canzone del 1995 che, in quel momento, rispecchiava il suo stato d’animo.

Michael Jackson – Money

***

Il 13 marzo 2005 fu la madre di Gavin a testimoniare. Quando passò davanti ai fotografi la donna si coprì il volto con un cappuccio. Aveva trentasei anni ma ne dimostrava di più, vestiva in maniera pacchiana e scialba insieme – indossava una felpa rossa e mollettine con stelline tra i capelli – tradiva volgarità e disagio. L’espressione esaltata suggeriva problemi emozionali,  parlava convulsamente,  non comprendeva la connessione delle sue affermazioni. Si dilungò al punto che la deposizione durò cinque interminabili giorni e sfiancò persino l’accusa. Si presentò sbandierando subito, e con orgoglio,  un nome acquisito:
–   Sono una Jackson  come Michael…
–   Siete parenti?  – chiese l’avvocato Mesereau.
–   No, ma ho sposato Jay Jackson, dunque sono la signora Jackson  – sorrise orgogliosa –  il mio nuovo figlio infatti si chiama Jet Jackson.
Essendo il  cognome della controparte, come ovvio, lo sconcerto si tradusse in silenzio glaciale. Poi attaccò subito a parlar male del suo ex marito.

La testimonianza in aula della signora Arvizo nei giorni seguenti continuò  sconnessa e i presenti si lanciarono occhiate allusive. Tutti notarono che rispetto alle precedenti riprese televisive sembrava molto ingrassata, imbruttita,  senza un filo di trucco.  Janet Arvizo guardava solo la giuria  e rivolta a loro disse:
I membri del clan Jackson mi hanno tenuta per sei settimane prigioniera con i miei figli a Neverland  perché volevano girare un documentario contro Bashir…
Tom Zonen, che rappresentava l’accusa,  domandò:
.    Sapeva chi era Martin Bashir?
–    No
–    Lei chiese a Michael Jackson  spiegazioni?
–    No
L’accusa cercò di rendere comprensibili  le sue parole:
Signora, aveva paura che suo figlio fosse in pericolo?

Cosa disse Michael Jackson riguardo al fatto che Gavin fosse in pericolo?
Alcune minacce di morte a causa della questione di Bashir.
Le disse chi erano le persone che stavano facendo queste minacce di morte?
No.
Usò il termine minacce di morte?
Mi disse che mio figlio era in pericolo.
Cosa le chiese Michael Jackson in questa telefonata?
Che aveva bisogno di Gavin per una conferenza stampa e che poteva proteggerlo.

***

Ci vollero altre testimonianze per comprendere i fatti esposti dalla signora Arvizio, che possono essere sintetizzati così: lei e suo figlio erano stati invitati a Miami il 5 febbraio 2003 per prender parte al contro documentario “Michael Jackson take two: the interview they wouldn ‘t  show you”, che avrebbe dovuto rettificare il lavoro del giornalista anglo-pakistano. Furono alloggiati nella suite dell’artista in compagnia di Prince, Paris e Blanket, con due balie, un dottore, un assistente di Michael con i figli. La mamma di Gavin aggiunse di aver incontrato proprio in quel luogo due membri dello staff del cantante, Dieter Wiesner e Ronald Konitzer, da cui aveva appreso  che dei killer volevano ammazzarli. Fu così che la tesi accusatoria,  a causa di queste dichiarazioni deliranti, perdette di consistenza e la giuria sospettò che Janet Arvizo soffrisse di disturbi psichici. Non solo, Tom Mesereau  tenne un’abile strategia di difesa incentrata sul complotto: cercò di dimostrare come inizialmente la donna fosse in ottimi rapporti con il re del pop, come avesse architettato un piano per estorcergli denaro e – a riprova di questo –  il legale fece notare che si era rivolta, prima ancora che alla polizia, all’ avvocato Larry Feldman , che nel caso  Chandler aveva rappresentato l’accusa.

Nel processo Arvizo le parti esibirono settecento prove. L’accusa chiamò a deporre novanta testi. La difesa cinquanta. La giuria ascoltò persone dello staff di Michael Jackson, dipendenti dei servizi sociali, membri di associazioni per la tutela dell’infanzia.  Testimoni di spicco furono Macauley Culkin, June Chandler,  Debbie Rowe, lo stesso Martin Bashir.  Jordan  Chandler si rifiutò di presentarsi in aula.  Nell’udienza del 2 giugno  2005 il vice procuratore distrettuale Tom Zonen rivolgendosi alla giuria dichiarò:
Avete sentito degli abusi sessuali commessi su un bambino malato, il suo sequestro, la somministrazione di alcolici e gli sforzi di una madre per difenderlo. Michael Jackson è un pedofilo seriale e un alcolista.  Vi chiedo di giudicarlo colpevole.
Questa la replica di  Tom Mesereau:
E stato dimostrato che la famiglia degli Arvizio  non può vantare nessuna integrità morale,  ha ordito un complotto. La madre di Gavin è una imbrogliona assetata di danaro.
Prima della sentenza Michael  fu ricoverato in ospedale per dolori fortissimi alla schiena, era la quinta volta durante il processo.

Dopo una settimana di consultazioni serrate, il 13 giugno 2005 arrivò l’attesissimo verdetto: “Not guilty”, “Non colpevole”, e  la pop star  venne assolta per tutti e dieci i reati contestati. In contemporanea alla diffusione della notizia,  gli elicotteri delle emittenti televisive  si levarono in volo per filmare la nera colonna di automobili che partiva dalla villa di Michael Jackson  per raggiungere il tribunale.   Ascoltata la sentenza  i sostenitori batterono a lungo  le mani.  Jacko  uscì raggiante su un piazzale gremito di giornalisti, curiosi e fan, salutando con le dita tese nel segno di vittoria.  Tuttavia Raymond Hutman, uno dei dodici giurati,  rilasciò alla Cnn questa dichiarazione:
Sono convinto che Michael Jackson sia un molestatore sessuale, ma sulla base delle prove presentate dall’accusa non era possibile giungere ad un verdetto di colpevolezza contro di lui. Resta il fatto che la sua abitudine di condividere la camera da letto con i ragazzi sfida la ragione…
L’avvocato Mesereau, nei giorni seguenti, comparve in “Tonight Show” e dichiarò a Jerry Leno:
“ Se si conosce la filosofia di vita di Michael, si sa che non potrebbe mai far del male a un bambino”.
Il giornalista anglo-pakistano che aveva dato adito alla controversia con il suo documentario, dopo la morte di Michael ha sentito il bisogno di fare questa precisazione :

Martin Bashir esprime la sua opinione su Michael Jackson

(continua)

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