Quattro voci per una Biennale. Speciale Speech Art Venezia 2019

In occasione dell’ultimo week end di apertura della 58ma Esposizione Internazionale d’Arte – la Biennale di Venezia, ci poniamo alcune domande tentando una veloce analisi del progetto curatoriale di Ralph Rugoff.

“May You Live in Interesting Times” è il titolo della Biennale. Abbiamo vissuto tempi interessanti percorrendo le sale, i corridoi, i giardini della Biennale?

Rugoff ha illustrato la sua Mostra con un chiaro riferimento alla capacità analitica e destrutturante dell’arte, al suo agire politico nella visione di una possibile alterità allo status quo.

Questa Biennale, dunque, offre una prospettiva personale attraverso l’opera di artisti che “ci invita a considerare alternative e punti di vista sconosciuti, e a capire che “l’ordine” è ormai diventato presenza simultanea di diversi ordini”?

In sostanza, emerge una ricerca sulla realtà sociale e dell’arte oltre la dichiarazione della molteplicità che la società contemporanea non fatica a mostrarci?

La Biennale 2019 è pensiero? Lo abbiamo chiesto ad alcuni visitatori speciali.

Cristiana Perrella.jpgQuello che ha reso per me la Biennale 2019 interessante è stata la forte presenza femminile. Per la prima volta le artiste esposte sono state più degli uomini (42 su 78) ed era ora! Ancora più interessante (e raro nelle grandi rassegne europee) è che molte di loro fossero africane o sudamericane. Semplicemente, già questo è stato sufficiente per aprire a prospettive molteplici la mostra. Mi è sembrato efficace, ai fini dell’affermazione di una necessità di approccio plurale, non univoco all’arte, anche lo sdoppiamento in due mostre speculari in cui gli stessi artisti sono stati presenti con lavori diversi (a volte molto diversi) È stato uno stimolo a evitare gli automatismi interpretativi e, insieme, un modo di tornare a ripensare a quanto visto nella parte visitata per prima, comparandolo a quanto presentato nell’altra sezione,  con la percezione chiara che la stessa storia si possa raccontare in modi diversi, anche usando apparentemente gli stessi elementi, che non esista una sola verità ma tante possibili alternative. In un’epoca in cui la complessità del reale viene spesso affrontata con l’intransigenza e la semplificazione di categorie opposte, questo mi è parso un richiamo a un ruolo importante dell’arte, che è quello di esercitare alla lettura molteplice, sfaccettata, delle cose. Anche l’oscillare continuo tra estetica e politica, tra mercato e attivismo che caratterizza il percorso tra le opere l’ho letto in questo senso e non mi è dispiaciuto.  Cristiana Perrella, direttrice del Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci

 

Gilda Lavia.jpg

Visitando la Biennale di quest’anno, la sensazione complessiva è stata quella di vivere in un mondo caoticamente interessante. Le linee guida fornite agli artisti da Rugoff hanno fatto si che differenti e molteplici punti di vista siano emersi in ma

nierachiara e incisiva.

Rispondendo alla domanda, credo che questa Biennale attraverso le singole opere ci restituisca una diversa visione dell’ordine; i temi sociali e politici trattati da alcuni artisti esprimono una ricerca sentita, approfondita in molti aspetti, violenta e a volte surreale.

Partendo dal presupposto che penso che l’arte debba servire a proporre spunti di riflessione, credo proprio che la Biennale del 2019 sia a tutti gli effetti “pensiero”. Gilda Lavia, gallerista

 

Visitare quest’anno la 58° Biennale è stato come percorrere strade diverse che si intersecano tra di loro e che a volte si sovrappongono, come peraltro accade nella realtà sociale.

Giorgio Fasol.jpgI tempi sono comunque interessanti seppur confusi, a volte surreali, frammentati e perché no anche divertenti.

Gli argomenti trattati dagli artisti, come ad esempio: migrazioni dei popoli, razzismo, muri che “crescono”, cambiamenti climatici, catastrofi ambientali, crisi economiche, proliferazione del digital, sono davvero difficili da inquadrare all’interno di un perimetro ben definito.

Direi quindi che la Biennale è si pensiero, ma anche specchio.

Specchio di una società in confusione, che richiede ricerca continua, costante, instancabile. Giorgio Fasol, collezionista

 

La Biennale di Venezia è un territorio libero di una straordinaria cooperazione internazionale che protegge e illustra l’idea utopica sull’imperativo dell’esistenza dell’arte pubblica. È vero che vi si è creata l’industria intorno, ma anche che tanti PaNemanja Cvijanović.jpgesi stanno cooperando, investendo mezzi pubblici per tenere viva questa celebrazione di un possibile mondo unito di cultura comune che possiamo definire ancora democratica. Un tale impegno va mantenuto ad ogni costo, perché ci offre la possibilit à di immaginare un futuro. Tempi interessanti e terribili di fragile democrazia abbiamo visto nelle opere degli artisti invitati da Ralph Rugoff. Quest’edizione ha aperto discorsi su human rights, posizione delle donne nel mondo dell’arte, formedi collaborazione degli artisti dei Paesi sfruttati e modi innovativi di produzione collettiva e democratica di livelli straordinari.

Come dedicarsi democraticamente a un’autocritica politica? Come mantenere la continuità culturale e l’autonomia ideologica? Come definire la società internazionale? Come mantenere la memoria della storia comune? Come indirizzare l’educazione all’esame delle condizioni precarie del pianeta? Tanti attivisti sanno che dallo status quo non si esce più con i processi politici convenzionali, e che forse i partiti e la logica politica che conosciamo sono obsoleti. La mostra al Padiglione Centrale è un capolavoro che, a mio parere, cerca di rispondere a queste domande. “Can’t Help Myself”, il monumento alla testardissima battaglia persa contro il protagonismo dell’intelligenza artificiale è forse una delle opere che riassume il concetto. Sun Yuan e Peng Yu in un simbolico e terrificante statement ragionano su più livelli.
Tra gli artisti invitati molti hanno presentato i processi di prassi alternative e di un attivismo devoto. Tra questi Kahlil Joseph. 
Nemanja Cvijanović, artista

 

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