ILVA di Taranto. Tensione alta e per gli operai lo spettro della disoccupazione

TARANTO – L’aria di Taranto in questi giorni è elettrica. La tensione è alta, e lo scontro tra le parti sociali non fa che ripresentarsi ciclicamente, tra una conferenza stampa e l’altra.

Sono notizie importanti quelle che si aspettano, notizie da cui dipende il destino della città, in bilico tra il dramma della disoccupazione e quello delle morti per tumori sempre più frequenti. In questi giorni infatti sta per essere reso pubblico il destino che la Procura di Taranto ha deciso per l’impianto siderurgico dell’Ilva, di cui 5 dirigenti sono sotto processo per diversi reati tra cui “disastro ambientale e inquinamento atmosferico”.

Il 23 luglio infatti il Giudice per le Indagini Preliminari Patrizia Todisco ha depositato in cancelleria il provvedimento a seguito dell’incidente probatorio. Ed è iniziato un conto alla rovescia: l’intera città è in attesa di sapere se l’area a caldo dell’impianto, che comprende cokeria, agglomerato e parchi minerari, verrà chiusa o meno. Nelle ultime ore le voci provenienti dal tribunale sembrano dipanare i dubbi: la chiusura è stata probabilmente accertata, mentre ancora non è certo se l’eventuale sequestro avverrà con o senza facoltà d’uso. Lo scorso 30 marzo il GIP Todisco aveva dichiarato chiuso l’incidente probatorio, dopo aver raccolto 800 pagine di perizie chimiche ed epidemiologiche, prodotte dai consulenti tecnici coinvolti. Sono passati 4 mesi, durante i quali il GIP ha valutato questi dati sulla natura, le dimensioni e gli effetti delle emissioni del gigante siderurgico tarantino. Nei due documenti si attribuiscono infatti precise responsabilità all’Ilva rispetto al mancato controllo delle emissioni fuggitive, anche per l’assenza del monitoraggio in continuo. 668 sono le tonnellate di polveri all’anno che secondo i periti vengono rilasciate da questo stabilimento nel territorio circostante: la correlazione tra le patologie, i ricoveri e i decessi e tali emissioni è stata  accertata.

Le reazioni da parte del mondo del lavoro e da parte delle stesse istituzioni sono state immediate, anzi hanno preceduto la stessa sentenza, il cui contenuto era stato evidentemente intuito. Da giorni infatti gli operai erano stati messi in stato d’allarme da alcuni sms (che secondo molti sono stati prodotti dalla stessa dirigenza) nei quali veniva anticipata la chiusura della fabbrica e veniva sollecitata una resistenza interna. E nonostante ufficialmente si dichiari di voler mantenere la calma, in un comunicato i sindacati FIM – FIOM – UILM di Taranto hanno dichiarato che “Nel rispetto delle prerogative della Magistratura e delle sue decisioni, nessuno potrà scrivere la parola fine delle attività siderurgiche in ILVA a Taranto”, quasi a promettere una lotta che non lascia alternative e che, nonostante il rispetto dichiarato, non tiene conto delle decisioni del giudice. E così già ieri si è sviluppato un presidio di fronte allo stabilimento, mentre per il 27 è in programma un’assemblea interna. Oggi le ultime voci parlano di un blocco della statale da parte degli operai, e della presenza dei carabinieri all’interno dello stabilimento a scopo preventivo. La tensione è tale per cui gli organici della polizia cittadini sono stato rinforzati, e i controlli sulla fabbrica sono stati intensificati. 

Anche dal mondo della politica si sono succedute dichiarazioni più o meno legittime. Domenica scorsa il Ministro dell’Ambiente Corrado Clini, in un’intervista al TgCom si è schierato in difesa dell’Ilva: facendo sua la posizione per cui il siderurgico della famiglia Riva starebbe investendo nella riduzione dell’impatto ambientale delle proprie tecnologie, il Ministro ha dichiarato che: “La magistratura sta intervenendo sull’attuale acciaieria avendo però in mente gli effetti dannosi degli impianti precedenti. L’intervento si basa su una valutazione epidemiologica dei danni per la salute provocati da 15 anni di attività. La contraddizione potrebbe essere un blocco degli impianti attuali in fase di risanamento ambientale, avendo in mente l’effetto degli impianti che c’erano prima”. In altre parole l’invito del Ministro è quello di dimenticare il passato, in vista di un futuro industriale “ecocompatibile” più promesso che realizzato (o realizzabile).

Ma nei fatti le decisioni del giudice non sono negoziabili: quello alla salute è un diritto che la nostra Costituzione definisce “incomprimibile”, ed in quanto tale non sacrificabile agli interessi economici. Ma nonostante l’azienda tarantina non possa evitare di confrontarsi con la sentenza del giudice Todisco, che attesta reati ambientali accertati, il 24 c’è stato un incontro tra il Ministro Clini e la dirigenza dell’Ilva per parlare della riqualificazione degli impianti. Una procedura ambigua questa, che attesta lo svilupparsi di un conflitto tra potere giudiziario e potere esecutivo sempre più marcato nel nostro Paese. L’eventuale annullamento degli effetti della sentenza da parte di un Ministero avrebbe davvero dell’incredibile.

Per il 26 luglio è invece in programma un tavolo tra il Ministro Clini e i suoi due colleghi del Ministero dello Sviluppo Economico e del Ministero della Coesione Territoriale. Argomento dell’incontro saranno gli investimenti che il Governo prevede per l’area di Taranto: 200 milioni di euro, più 100 milioni della Regione, per la bonifica del territorio, con particolare riguardo per il rione Tamburi adiacente al complesso Ilva e per i parchi minerari.

Gli ambientalisti tarantini si sono dati appuntamento a Roma per questa occasione, in Piazza Santi Apostoli, per far sentire l’altra voce di Taranto rispetto a quella del lavoratore: il cittadino. Il Presidente dell’Associazione Peacelink Alessandro Mariscotti per l’occasione ha reso pubblici gli sconcertanti dati di una ricerca scientifica nata da una partnership italo-americana, che attesta la presenza di alti livelli di piombo nelle urine degli abitanti di Taranto: su 141 soggetti analizzati è stato stimato un allarmante valore medio di 10,8 mg/l, contro i parametri standard che vanno da 0,5 a 3,5 mg/l.

Angelo Bonelli, Presidente dei Verdi, da parte sua, ha invitato il Ministero della Salute ad avviare delle analisi del sangue tra i cittadini tarantini, e ad investire sulla bonifica dell’area e sulla messa in sicurezza della falda acquifera, per le quali i 300 milioni di euro programmati risulterebbero insufficienti (per bonificare Porto Marghera furono necessari 5 miliardi). Bonelli ha inoltre ricordato che a Taranto si vive una tragica emergenza sanitaria: tra le 2 e le 3 morti al mese per inquinamento industriale, sottolineando una verità che sembrerebbe scontata ma che in queste ultime ore si tende a dimenticare: “non si possono cominciare le bonifiche se prima non si chiude il rubinetto dell’inquinamento”. C’è poi da considerare che l’industria siderurgica, spesso spacciata come la principale economia locale produce in realtà, secondo lo studio “Bilanci d’acciaio” del 2010, solo il 7,7% del Pil tarantino, l’1,24% di quello pugliese e lo 0,05% di quello italiano. Un futuro alternativo per Taranto non può allora che passare per una conversione economica, che richiedere un’alta dose di coraggio, ma che rappresenta l’unica alternativa al disastro ambientale ed umano che silenziosamente l’industria perpetra (e a cui si somma, tra l’altro, l’inquinamento prodotto dalla raffineria Eni, dalla Marina Militare e dagli inceneritori di rifiuti del territorio circostante). Ma il conflitto tra diritto alla salute e diritto al lavoro, caratteristico dell’epoca post-industriale che stiamo attraversando, non sembra di facile risoluzione. E un’estate di scontri e tensioni sembra aspettare Taranto.

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