Tobin tax. Prima riforma della finanza speculativa

ROMA – La Commissione europea ha recentemente dichiarato il suo sostegno alla proposta di introdurre una tassa sulle transazioni finanziarie (TTF), a volte chiamata anche Tobin tax.

All’inizio di ottobre, 11 paesi dell’Unione europea e della zona euro, tra cui Germania, Francia e Italia, hanno annunciato l’intenzione di applicare la regola della “cooperazione rafforzata” per rendere operativa ed efficace tale tassa nei paesi firmatari dell’accordo, anche senza l’adesione unanime di tutta l’Ue.

In verità la decisione arriva con circa tre anni di ritardo rispetto alla richiesta fatta dal Consiglio europeo al FMI di promuovere una tassa sulle transazioni finanziarie.

Allora si era nel pieno dell’emergenza della crisi finanziaria e bancaria globale e i governi e le stesse autorità internazionali erano impegnati a costruire degli argini allo tzunami della speculazione, dei titoli tossici e dei derivati Otc.

Successivamente le grandi lobby bancarie, in primis quelle americane, hanno costretto i governanti, i politici, i controllori e i regolatori ad accettare la “normalità” del business as usual.

L’iniziativa ha suscitato molte critiche nella maggior parte dei media e tra i cosiddetti esperti economici. Gli argomenti addotti dagli oppositori della TTF, ma anche da alcuni dei suoi sostenitori, a nostro avviso, non colgono la vera “portata economica” della proposta.

La tassa in questione dovrebbe essere dello 0,1% sulla compra-vendita di azioni e di obbligazioni e dell’ 0.01% sul capitale di riferimento delle operazioni in derivati finanziari. Inizialmente si era calcolato un introito annuo di circa 56 miliardi di euro. Poi è stato ridotto a 20 miliardi a seguito della decisione britannica di non aderire. Nella City infatti vengono trattati oltre il 70% dei derivati finanziari di tutta l’Unione europea e ciò di conseguenza incide sull’introito calcolato .

Molti affermano che la tassa avrebbe un “effetto negativo sulla crescita” e altri paventano la  penalizzazione della gestione del risparmio, sia per l’introduzione di un nuovo costo, sia per la fuga di certe operazioni finanziarie verso altri mercati, come la City, Wall Street e i vari paradisi fiscali, che non applicano la tassa in questione.

C’è poi chi nobilita il suo “no tax” per non allontanare la Gran Bretagna dal processo di Unione europea, volutamente ignorando che proprio Londra non ha mai voluto aderire all’euro, indebolendo così l’Europa, incassando però i molti miliardi di sussidi da Bruxelles. Sia chiaro che non si salva l’Unione europea accettando i ricatti della City!

Il momento storico e le implicazioni strategiche dell’introduzione della tassa sulle transazioni finanziarie non sono secondari. Lo sono invece le dispute su come raccogliere la tassa e su come utilizzarla: se a sostegno del bilancio europeo, di quelli dei paesi aderenti o per il fondo salva stati.

La TTF non è il traguardo d’arrivo ma è un primo passo verso il necessario cambiamento del sistema finanziario internazionale. Da tempo si parla di nuove regole senza mettere in cantiere una vera riforma. Perciò la TTF, anche se in forma parziale, assume in sé un valore emblematico e dimostra la volontà di non rassegnarsi alla supremazia dei cosiddetti mercati. Le grandi transazioni e le attività di finanza nera e “grigia” possono essere intaccate.

Certo, la tassa dovrà interessare particolarmente i derivati Otc che sono sempre più di 10 volte il Pil mondiale, il trading speculativo elettronico ad alta frequenza e i derivati sulle commodity, sulle materie prime, sui prodotti alimentari e sui cambi.

La TTF indubbiamente dovrebbe avere anzitutto l’effetto di ridurre la volatilità dei mercati e darebbe la spinta per creare in Europa un controllo centralizzato delle istituzioni finanziarie e nuove regole bancarie. Sarebbe anche un modo concreto per neutralizzare gli effetti della crescita dello spread generata dalla speculazione e dall’attacco all’euro.

In parole povere si può affermare che la Tobin tax può essere la chiave per aprire finalmente la porta della riforma finanziaria globale che, a nostro avviso, è la condizione per creare un sistema economico fatto di produzione e lavoro, di ricerca e innovazione, di agricoltura e servizi e di imprese non speculative.

 

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