Le banche centrali in crisi

ROMA – Le voci sulla possibile riduzione di acquisti di bond dei Paesi europei più in difficoltà da parte della Banca Centrale Europea non dovrebbero sorprendere. Certo questi rumors potrebbero innescare nuovi impulsi speculativi.

L’eventuale decisione della Bce, più che dipendere da quella della Corte Costituzionale tedesca chiamata a pronunciarsi sulla legittimità delle scelte fatte a suo tempo dalla Bce, avrebbe una ragione di valenza globale anche rispetto alle spiegazioni relative alle crisi regionali europee. Il problema vero sta nell’effetto destabilizzante della crescita esponenziale dei bilanci della banche centrali dei Paesi industrializzati che, secondo i dati della Banca dei Regolamenti Internazionali, sono passati dai 4 trilioni di dollari registrati prima della crisi agli oltre 10 trilioni di dollari attuali!

Oltre a salvare il sistema bancario, questa enorme immissione di liquidità avrebbe dovuto favorire anche i crediti a sostegno degli investimenti per rimettere in moto l’economia. Entrambi gli obiettivi sono stati però drammaticamente mancati. Le banche, e l’Italia docet, hanno di fatto chiuso i rubinetti del credito e la desiderata ripresa ha lasciato spazio ad una profonda recessione.

Le banche centrali si sono invece orientate verso il mercato dei bond, anche quello dei paesi emergenti, generando una forte volatilità dei prezzi che a sua volta ha aumentato la propensione al rischio. Negli ultimi mesi le obbligazioni cosiddette “non investment grade”, cioè quelle speculative e non affidabili per gli investitori istituzionali, e quelle emesse per la prima volta dai Paesi emergenti hanno infatti registrato una domanda spropositata, addirittura di 10 volte superiore all’offerta.

I tassi d’interesse praticati dalle banche centrali vicino allo zero hanno determinato anche il calo dei rendimenti delle obbligazioni. Di fatto si è raggiunto un livello di grande destabilizzazione, invece dell’auspicata stabilità finanziaria. L’investitore che ha acquistato bond è sostanzialmente punito. I privati possono essere spinti a sganciarsi da questo mercato e le stesse banche centrali, che hanno massicciamente acquistato bond, si trovano ora in difficoltà.

Non è un caso, quindi, che in contemporanea con le voci sulla Bce già menzionate, anche il mercato americano dei bond abbia registrato un calo significativo. Ciò è avvenuto perché i maggiori hedge fund, motivati dalle aspettative circa possibili cambiamenti nella politica di “liquidità facile” della Fed, hanno iniziato a dismettere parte dei loro pacchetti obbligazionari. L’immissione di nuova liquidità da parte delle banche centrali ha determinato anche l’aumento di crediti in valuta estera, in dollari e in euro, nei Paesi emergenti. Quelli in dollari hanno raggiunto il picco di 7 trilioni di dollari, pari a circa il 10% del Pil mondiale. Tali crediti crescono al ritmo del 10% annuo.

Quelli in euro, invece, stanno crescendo ad un tasso annuo del 15%, anche se il loro totale è intorno ai 2,5 trilioni di dollari. La crescita dei crediti in valuta, purtroppo, non va a sostegno degli investimenti ma crea sempre più pericolose bolle speculative, a cominciare da quella immobiliare. In Cina, per esempio, nonostante siano stati introdotti limiti e quote per ogni banca, negli ultimi 12 mesi i crediti in valuta sono aumentati del 35%. Perciò molti settori finanziari di alcuni Paesi emergenti dell’Asia stanno nuovamente raggiungendo le rischiose punte massime delle crisi degli anni novanta. E’ tempo quindi che sia la Bce che la Banca d’Italia riconoscano che la politica di elargizione di liquidità alle banche per sostenere imprese e famiglie è sostanzialmente fallita.

E’ necessario un profondo cambiamento nella politica del credito a livello Ue.  Nel nostro Paese la situazione economica e creditizia è drammatica. Lo Stato deve intervenire con ogni mezzo, anche direttamente, per sostenere nuovi investimenti e per rendere più competitive le nostre aziende anche sui mercati internazionali.

 

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