Le Agenzie di rating non sono Vangelo. Gli Usa lo hanno capito, l’Ue no

ROMA – Non c’è bisogno di scomodare le tre Agenzie di rating di base americana, la Fitch, la Moody’s e la Standard & Poor’s, per sapere che il debito sovrano del Portogallo è in seria difficoltà o che l’Irlanda, dopo la Grecia, rischia un default.

Pertanto gli innumerevoli titoli lanciati recentemente dalla stampa italiana sul declassamento di Lisbona da parte di Moody’s o sul rischio banche europee espresso dalla S&P sembrano del tutto fuori luogo. Lo stesso giudizio negativo di Moody’s su trenta banche spagnole scopre «l’acqua calda».

L’effetto del rating delle agenzie suddette incide però sull’andamento dei titoli trattati sul mercato determinando perdite di valore o aumenti dei costi e degli interessi passivi. Perciò avallare acriticamente il rating delle «tre sorelle» può rivelarsi un puro atto di masochismo.

Le agenzie in questione, avendo perso credibilità negli Stati Uniti, ormai concentrano il loro impegno valutativo sul mercato europeo e dell’euro. Negli Usa esse sono state messe sotto processo, anche se in ritardo, da tutti coloro che hanno cercato di dare delle spiegazioni alla crisi finanziaria globale degli ultimi tre anni.

In particolare il Rapporto della Financial Crisis Inquiry Commission (Fcic), la Commissione indipendente di indagine sulla crisi voluta dal Congresso, le indica come gli attori principali del collasso finanziario.

Il Rapporto dice: «Noi sosteniamo che il fiasco delle Agenzie di rating sia stato un elemento essenziale del meccanismo distruttivo finanziario. Esse sono state le promotrici chiave del meltdown finanziario, cioè della dissoluzione sistemica. Non si sarebbe potuto vendere i titoli ipotecari, che sono stati al cuore della crisi, senza il loro timbro di approvazione. Gli investitori si sono ciecamente fidati dei loro giudizi. In alcuni casi il loro rating era obbligatorio. La crisi non sarebbe potuta accadere senza le Agenzie di rating. Tra il 2007 e il 2008 il loro rating ha fatto prima salire i mercati e poi, con l’abbassamento repentino delle loro valutazioni, li ha fatti precipitare».

La Fcic ha condotto un case study sui comportamenti e i collassi (break down) della Moody’s. Quest’ultima tra il 2000 e il 2007 aveva concesso la tripla A a ben 45.000 securities, titoli legati alle ipoteche immobiliari. Nel 2006 la Moody’s sfornava 30 bollini di tripla A al giorno a favore di titoli ipotecari. I risultati, come è noto, sono stati disastrosi. L’83% di tali titoli, targati con la tripla A, nel 2006 sono stati downgraded, cioè svalutati!

La Commissione denuncia inoltre che gli organi preposti al controllo di fatto «erano troppo dipendenti dalle Agenzie di rating». Durante gli anni dell’euforia non pochi operatori del settore, preoccupati per la «febbre da cavallo» del mercato, avevano invano investito i responsabili della supervisione, in primis la Federal Reserve. Le testimonianze riportate nel rapporto utilizzano parole assai pesanti, «pazzia», «veleno», «allarme».
Secondo la Fcic, il disastro ci accentuò all’epoca di Clinton, quando il governatore della Fed, Alan Greenspan, al Congresso Usa nel 1997 chiese di «rimuovere le vecchie restrizioni che diminuiscono l’efficienza economica e limitano le scelte dei consumatori di servizi finanziari».

Allora partì la fatidica «securitization», cioè la cartolarizzazione, la possibilità di «impacchettare» titoli, quali quelli ipotecari, per costruire altri titoli chiamati mortgage-backed securities (Mbs) da piazzare sul mercato. Questi ultimi sono stati ulteriormente «impacchettati» per creare altri titoli, i cosiddetti collateralized debt obligations (Cdo). Ovviamente tutti o quasi tutti questi prodotti finanziari hanno goduto del bollino di Tripla A e invaso il mondo intero.

La securitization ha trasformato prodotti finanziari a rischio in titoli supervalutati in quanto «il sistema bancario era molto desideroso di facilitare una tale alchimia». Di fatto le Agenzie di rating sono diventate i primi attori del perverso processo.

Nessuno può proibire alle Agenzie di rating di emettere le proprie valutazioni, ma noi riteniamo che esse non siano il vangelo, così come del resto il citato rapporto dimostra.

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