Una Cassa Depositi e Prestiti alla tedesca

ROMA – Se ne parla da tempo, ma è venuta l’ora di rompere gli indugi e trasformare la Cassa Depositi e Prestiti in un’efficiente e potente macchina per la crescita della nostra economia. Ha, infatti, attività di bilancio per 235 miliardi di euro e una raccolta di risparmio attraverso la rete degli uffici postali pari a 196 miliardi.

Ma il suo mandato la costringe ad un ruolo troppo secondario e marginale.
È forse l’istituzione più vecchia del nostro paese. Fu creata prima dell’Unità d’Italia. Il suo statuto la vincola però ad operazioni primariamente interne come cassa di riserva dello stato e come istituto di finanziamento di progetti degli enti locali.
Può invece diventare il motore principale del finanziamento a medio e lungo termine di grandi progetti nelle infrastrutture, nella ricerca, nelle nuove tecnologie per mettere il paese in condizione di rispondere alle sfide della ripresa e dell’economia globalizzata.

In verità negli ultimi anni ha allargato il suo orizzonte, aprendo linee di credito a favore della piccola e media industria. Nel passato triennio ha globalmente concesso crediti per 33 miliardi di euro. Nel triennio 2011-2013 i prestiti dovrebbero essere per 43 miliardi, di cui 24 per investimenti in opere pubbliche e per le Pmi. Però se non cambia il suo statuto e la sua «mission», la Cdp rischia di rimanere un nano con tante potenzialità.
In tutte le sedi nazionali e internazionali il presidente della CDP, Franco Bassanini e il suo amministratore delegato Giovanni Gorno Tempini giustamente chiedono una trasformazione della Cdp sul modello della Kreditanstalt fuer Wiederaufbau, la banca di ricostruzione tedesca.
La KfW è uno dei meccanismi più efficienti dell’economica tedesca. Ha attività per oltre 400 miliardi di euro ed è il perno del “sistema paese”, soprattutto per le attività di investimento e di intervento nei mercati internazionali. Conta su una struttura di 12.800 operatori suddivisa in importanti settori strategici. Ha una banca per gli investimenti nelle Pmi e negli enti locali che nel 2009 ha svolto attività per 24 miliardi di euro. Opera attraverso la Ipex Bank con investimenti a medio e lungo termine in progetti internazionali e in finanziamenti all’export per 60 miliardi di euro. Ha anche creato una banca per lo sviluppo per sostenere progetti e infrastrutture nei paesi emergenti.

La sua forza sta nel non aver abbandonato la sua mission iniziale a sostegno dello sviluppo a lungo termine dell’economia reale. Nacque insieme al Piano Marshall per la ricostruzione delle economie europee devastate dalla guerra. Si ricordi che all’epoca gli Usa non richiesero che i crediti concessi fossero ripagati in dollari ma in moneta nazionale, versando i pagamenti in un conto speciale detto «fondo di controvalore» presso le banche centrali. Alcuni stati come la Gran Bretagna lo utilizzarono per ridurre il debito dello stato. La Germania invece ottenne che il fondo potesse essere utilizzato per il finanziamento della KfW. Quindi oltre al sostegno pubblico iniziale, la KfW sviluppò il meccanismo di autofinanziamento, sempre mirato agli investimenti di lungo periodo nella ricostruzione e nella modernizzazione dell’economia reale.

Nei passati decenni la KfW è cambiata molto nella sua struttura e nei suoi meccanismi senza mai venir meno alla sua mission di fondo per lo sviluppo. Oggi essa affianca le industrie tedesche sui mercati internazionali non solo come centrale di credito ma anche come garante di fatto degli accordi e come procacciatrice di commesse. Emette obbligazioni che hanno la garanzia dello stato tedesco e può operare sui mercati aperti.
Nei passati 3 anni la nostra Cdp ha unito le sue forze con la KfW, con la francese Caisse des Depots et Consignations e con la Banca Europea per gli Investimenti (Bei) per creare la «Rete Marguerite» dei fondi equity e il Long Term Investors Club per riportare la finanza pubblica e privata a sostenere investimenti di lungo termine nelle infrastrutture e nei settori dell’energia e della ricerca.
Molti stanno cercando di frenare il cambiamento della Cdp ventilando il rischio di un ritorno dello «stato padrone». Secondo noi sono paure e argomentazioni non del tutto fondate. In passato l’Italia ha potuto positivamente contare su istituti come l’Iri e la Cassa per il Mezzogiorno nel suo processo di ricostruzione e di sviluppo del dopoguerra. Poi col tempo in un processo di degenerazione della politica essi sono diventati dei pesanti ed inefficienti carrozzoni. Ciò portò alla loro soppressione senza però creare efficaci meccanismi alternativi per il credito agli investimenti a sostegno delle attività produttive.
L’errore è stato quello di buttare il bambino con l’acqua sporca! Infatti le banche private e il mercato da soli hanno dimostrato di non essere capaci di farlo adeguatamente. Anzi hanno sempre più puntato sulla finanza a breve.
Perciò discutiamo laicamente della Cdp tenendo conto delle esperienze passate e delle necessità attuali.

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