Via gli studi di settore. Con i nuovi indicatori le tasse diminuiranno?

Finalmente ci siamo: dopo la pausa estiva continua il lavoro dei tecnici ministeriali che porterà al definitivo addio agli studi di settore. Così come previsto dalla manovra correttiva approvata nella primavera scorsa, entro la fine di settembre il numero degli indicatori di affidabilità economica presentati alle categorie salirà a 37: 14 varati a luglio e i rimanenti 23 entro questo mese.  Prima della fine dell’anno, comunque, il debutto delle nuove “pagelle” fiscali relative all’anno di imposta 2017 salirà a quota 70.

“Per molti lavoratori sarà la fine di un incubo – esordisce il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo – anche se sarà necessario monitorare il periodo di transizione di questi nuovi strumenti. I nuovi indicatori di affidabilità fiscale che sostituiranno gli studi di settore, infatti,dovranno garantire una riduzione delle tasse e una maggiore semplificazione nei rapporti con il fisco. Altrimenti, questa novità servirà a poco. Per questo è determinante che nella fase di gestazione di questi indicatori sia determinateil ruolo delle associazioni di categoria dei lavoratori autonomi, che meglio di chiunque altro conoscono le specificità e le caratteristichefiscali delle attività interessate da questa novità fiscale”.

  • I numeri degli studi di settore

Dopo 18 anni di vita, sono poco più di 3,5 milioni le partite Iva sottoposte ai 193 studi di settore attivati dall’Amministrazione finanziaria. E oltre il 73 per cento dei contribuenti (pari a 2,6 milioni di attività) è congruo, ovvero rispetta le richieste avanzate dall’Amministrazione finanziaria in materia di ricavi. Questi contribuenti, tuttavia,  rimangono ancora nel mirino del fisco visto che ogni anno  rischiano di subire un accertamento fiscale, sebbene per gli studi di settore risultino soggetti fedeli al fisco. Nel 2016, infatti, sono stati poco meno di 368.500 gli accertamenti in materia di Iva, Irap e imposte dirette che hanno interessato le imprese potenzialmente soggette agli studi di settore.

“Chi nel prossimo futuro rispetterà le disposizioni previste dagli indici di affidabilità fiscale non dovrà più essere sottoposto ad alcuna attività accertativa – dichiara il segretario della CGIA Renato Mason – inoltre, bisognerà limitare al massimo il numero di controversie per togliere quell’ansia da fisco che, purtroppo, continua a investire molti piccoli imprenditori. Per questo sarà necessario introdurre un regime premiale a beneficio di coloro che sono in regola con le richieste dell’Amministrazione, così come era stato annunciato verso la seconda metà degli anni ’90 in sede di presentazione degli studi di settore che, in seguito, è stato clamorosamente disatteso”. 

  • Più tasse per 19,6 miliardi di euro

Negli anni gli studi di settore hanno garantito un grosso apporto di gettito alle casse del Stato. Dal 1998, anno della loro introduzione, al 2015 (ultimo dato disponibile), a fronte di 49,2 miliardi di euro di maggiori ricavi ottenuti attraverso l’adeguamento spontaneo in sede di dichiarazione dei redditi, questi si sono tradotti, secondo una stima elaborata dall’Ufficio studi della CGIA, in 19,6 miliardi di euro di tasse in più versate all’erario (vedi Tab. 1). 

“Certo – conclude Zabeo – è difficile stabilire quanti di questi soldi siano il frutto di una graduale emersione della base imponibile e quanti, invece, siano riconducibili a tasse aggiuntive che i contribuenti hanno pagato perché l’asticella dei ricavi imposta dagli studi di settore era troppo elevata. Molto probabilmente la verità sta nel mezzo. Per questo è necessario che i nuovi indicatori di affidabilità  non ricalchino queste vecchie abitudini”.

  • A Roma il più alto numero di contribuenti sottoposto agli studi

Tra i 3,5 milioni di contribuenti soggetti agli studi di settore, a  livello territoriale è Roma la provincia che ne conta di più: 244.000. Seguono le province di Milano (221.480), Napoli (133.237),   Torino (129.527), Brescia (80.652), Firenze (71.295), Bologna (68.150), Bergamo (67.124), Padova (65.505) e Bari (65.461). In coda alla classifica, invece, troviamo Enna (6.642), Gorizia (6.541), Carbonia-Iglesias (4.950), Isernia (4.775), Medio Campidano (3.949) e Ogliastra (2.926) (vedi Tab. 2). 

In sintesi: cosa sono gli studi di settore ?

Gli studi di settore sono uno strumento di accertamento applicato a una vastissima platea di imprenditori e di lavoratori autonomi, pari a oltre 3,5 milioni di contribuenti.

Attraverso gli studi di settore l’Amministrazione finanziaria stima l’attendibilità dei ricavi dichiarati, considerando le relazioni statistiche che li legano alle caratteristiche contabili ed extracontabili delle aziende.

Gli studi sono sottoposti a periodiche revisioni al fine di adeguarli alle mutate caratteristiche delle strutture economiche e al contesto in cui operano.

I contribuenti si dicono congrui nel caso in cui i loro ricavi siano pari o superiori a quelli stimati, non congrui in caso contrario. In sede di dichiarazione dei redditi si possono adeguare spontaneamente i propri ricavi a quelli stimati dagli studi di settore.

Gli studi di settore sono entrati in vigore nel 1998 e sono stati progressivamente estesi agli imprenditori e ai lavoratori autonomi con ricavi non superiori a 5.164.569 €. Nel 2015 erano 204 e interessavano 3.587.846 contribuenti. Nel 2016, per effetto di alcuni accorpamenti, sono scesi a 193, anche se la platea potenziale di riferimento è rimasta la stessa.   

Nel corso degli anni hanno subito profondi cambiamenti: si è andati nella direzione di un loro affinamento, contemporaneamente, dopo le Sentenze della Corte di Cassazione del 2009, si è delineata più correttamente la loro valenza giuridica.

Nonostante i progressi intervenuti, gli studi rimangono ancora uno strumento di accertamento dotato di particolare forza. Si pensi alla disposizione che rende indefinita la posizione del contribuente anche dopo aver subito un accertamento da studi di settore. 

Ebbene, anche se il contribuente si è accordato con il fisco, esiste una norma di legge che consente all’Amministrazione di effettuare una ulteriore azione accertatrice sulla medesima annualità e sulla stessa categoria di reddito, indipendentemente dalla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi.

Tab. 1 – Studi di settore: stima maggiori tributi incassati dall’erario

Anno

Imprese e lavoratori autonomi

coinvolti
(numero)

Maggiori ricavi da adeguamento studi di settore
(milioni di euro)

Imposte da adeguamento
(in milioni di euro)

Maggiori tributi

incassati

dall’erario
(milioni di euro)

     

Iva

Irap

Imposte dirette

 

1998

1.025.926

743

109

 

141

250

1999

1.464.927

1.148

167

 

219

386

2000

2.048.650

1.580

220

48

309

576

2001

2.558.897

1.968

272

 

376

648

2002

2.918.883

2.201

304

 

424

728

2003

3.123.179

2.363

317

77

573

967

2004

3.193.175

2.978

388

127

724

1.239

2005

3.275.227

3.401

442

145

827

1.414

2006

3.572.108

5.160

653

219

1.261

2.133

2007

3.734.932

4.407

538

187

1.084

1.809

2008

3.520.765

4.083

495

159

1.005

1.659

2009

3.547.983

3.077

381

120

757

1.258

2010

3.632.850

3.323

408

130

819

1.356

2011

3.602.050

3.245

395

127

811

1.332

2012

3.779.873

2.337

288

91

586

965

2013

3.811.562

2.355

272

92

592

956

2014

3.763.149

2.470

292

96

622

1.010

2015

3.587.846

2.359

259

92

595

947

Totale

 

49.195

6.201

1.709

11.723

19.633

Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Agenzia delle Entrate, Corte dei Conti, Ministero dell’Economia e delle Finanze

Nota: in questa tabella abbiamo stimato il gettito prodotto dagli studi di settore. Partendo dai ricavi aggiuntivi che i contribuenti indicano nella dichiarazione dei redditi per adeguare quanto richiesto dagli  studi di settore, è stato calcolato il gettito derivante da tale adeguamento. Sui maggiori ricavi dichiarati i contribuenti hanno dovuto versare le relative imposte: Iva, Irap, Irpef (e relative addizionali) o Ires. Per ogni imposta abbiamo  applicato, “al maggior ricavo da adeguamento”, la relativa aliquota. Le aliquote delle addizionali regionali e comunali corrispondono a quelle medie, come rilevate dai dati delle dichiarazioni fiscali. Mentre per stimare l’Irpef si è utilizzata l’aliquota del primo scaglione di reddito. La stima ottenuta è estremamente prudenziale e il valore ottenuto serve a fare comprendere il gettito prodotto da questo strumento di accertamento.

Tab. 2 – Studi di settore: distribuzione dei contribuenti

(anno 2015)

Rank

Provincia

Contribuenti
(numero)

1

Roma

244.000

2

Milano

221.480

3

Napoli

133.237

4

Torino

129.527

5

Brescia

80.652

6

Firenze

71.295

7

Bologna

68.150

8

Bergamo

67.124

9

Padova

65.505

10

Bari

65.461

11

Verona

58.772

12

Vicenza

56.485

13

Salerno

56.273

14

Treviso

55.660

15

Monza e della Brianza

53.001

16

Venezia

52.703

17

Genova

51.931

18

Varese

50.250

19

Catania

46.236

20

Palermo

46.065

21

Modena

45.125

22

Lecce

41.616

23

Perugia

40.881

24

Cuneo

36.664

25

Caserta

36.118

26

Como

36.014

27

Bolzano

33.242

28

Reggio nell’Emilia

32.787

29

Cosenza

32.724

30

Trento

31.869

31

Messina

30.858

32

Udine

30.722

33

Pavia

29.373

34

Cagliari

28.919

35

Parma

28.637

36

Ancona

28.555

37

Latina

28.320

38

Foggia

28.232

39

Lucca

27.791

40

Pisa

27.421

41

Rimini

27.068

42

Forlì-Cesena

26.719

43

Pesaro e Urbino

25.330

44

Frosinone

24.312

45

Alessandria

24.157

46

Mantova

24.036

47

Taranto

23.764

48

Ravenna

23.420

49

Arezzo

22.436

50

Reggio di Calabria

22.220

51

Macerata

22.128

52

Chieti

21.401

53

Avellino

20.939

54

Prato

20.783

55

Pescara

20.672

56

Livorno

20.395

57

Barletta-Andria-Trani

20.258

58

Lecco

20.219

59

Novara

20.064

60

Ferrara

19.973

61

Savona

19.613

62

Pistoia

19.583

63

Cremona

19.244

64

Teramo

18.936

65

Trapani

18.914

66

Potenza

18.564

67

Piacenza

18.111

68

Siena

17.712

69

Brindisi

17.564

70

Agrigento

17.538

71

Viterbo

17.071

72

Pordenone

16.924

73

Catanzaro

16.655

74

L’Aquila

16.503

75

Sassari

15.399

76

Siracusa

15.022

77

Ragusa

14.400

78

Grosseto

14.095

79

Rovigo

14.069

80

Benevento

13.887

81

Imperia

13.712

82

Ascoli Piceno

13.495

83

La Spezia

13.337

84

Massa-Carrara

13.014

85

Fermo

12.887

86

Terni

12.571

87

Asti

12.149

88

Campobasso

12.038

89

Belluno

11.496

90

Trieste

11.179

91

Biella

11.131

92

Lodi

10.998

93

Sondrio

10.985

94

Olbia-Tempio

10.870

95

Caltanissetta

9.942

96

Verbano-Cusio-Ossola

9.702

97

Matera

9.640

98

Vercelli

9.579

99

Valle d’Aosta/

9.213

100

Nuoro

7.948

101

Oristano

7.462

102

Rieti

6.972

103

Vibo Valentia

6.967

104

Crotone

6.843

105

Enna

6.642

106

Gorizia

6.541

107

Carbonia-Iglesias

4.950

108

Isernia

4.775

109

Medio Campidano

3.949

110

Ogliastra

2.926

Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Ministero dell’Economia e delle Finanze

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