Nonostante le incognite disoccupazione e Pil, Milano rimbalza

TRIESTE – Ottava di Borsa particolarmente importante per il Belpaese quella conclusasi ieri a Piazza Affari che, con le aste di titoli di Stato tenutesi in settimana, tra gennaio e febbraio ha collocato bond per 98 miliardi di euro, poco meno di un quarto di quei 400 miliardi che costituiscono l’impegno annuale del Tesoro per la copertura dei debiti in scadenza, sommati ad un’altra cinquantina per risanare il deficit di bilancio.

Secondo Paolo Guida, vice presidente dell’AIAF (Associazione Italiana Analisti Finanziari), «Nei primi due mesi dell’anno il tasso d’interesse sulle nuove emissioni è calato di 70 punti base ed a fine anno la diminuzione potrebbe arrivare a 110 punti», cioè circa 5 miliardi di euro in meno di deficit, che a loro volta produrrebbero minori interessi futuri. La chiusura di ieri dello spread, il differenziale di rendimento tra titoli decennali italiani e tedeschi che è anche misura della solidità del Paese, indica che il mercato, seppur di pochissimo, chiede un premio minore all’Italia rispetto alla Spagna per sottoscrivere il rispettivo debito, fenomeno derivante da un combinato disposto: da un lato la politica espansiva delle BCE (Banca Centrale Europea), dall’alto l’afflusso di capitali dall’Asia. 

Se l’Eurotower decidesse di sostenere in maniera più aggressiva la crescita tagliando il tasso sui depositi degli istituti di credito presso la banca centrale, di fatto assisteremmo ad un’immissione di liquidità sul mercato che avrebbe un effetto importante sui tassi, aumentando il beneficio per Paesi periferici come l’Italia e la Spagna: con un calo generalizzato dei rendimenti, i tassi a basso rischio relativamente più consistenti offerti da Roma e Madrid sarebbero subito interesse degli investitori. A chiudere il cerchio l’attuale volatilità dei Paesi emergenti: l’Europa preoccupa molto meno anche se sullo sfondo c’è la crisi Ucraina, con gli operatori che qui si sentono al sicuro e sostengono il deflusso di capitali dall’Asia.

Nonostante ciò le ultime stime della Commissione Europea, che prevede un ritorno alla positività dello sviluppo dell’intera Eurozona nel 2014 ed un suo rafforzamento nel 2015, con la Germania a tirare sempre più forte il resto del convoglio (+0,4% l’incremento del PIL su base trimestrale, +1,3% quello su base annuale), contemplano per il Belpaese un taglio dello 0,7% sulle stime di crescita, con una ripresa (+0,6%) decisamente inferiore a quella della Spagna (+1%) e pari a quella della Grecia (che però nel 2015 dovrebbe conseguire un incredibile +2,9%); previsto inoltre il picco massimo del debito pubblico italiano, al 133,7% del PIL, con le uniche indicazioni positive relative al deficit, in calo grazie ai minori interessi pagati sull’indebitamento del Paese.

Positivo invece il giudizio di Christine Lagarde, numero uno del Fondo Monetario Internazionale (FMI), sulla nomina di Pier Carlo Padoan al Ministero dell’Economia, molto rispettato quando era al FMI, nonché interesse sull’intenzione del Governo Renzi di ridurre le tasse sul lavoro, anche se i sindacati italiani non approvano che il taglio del cuneo fiscale vada ad esclusivo vantaggio delle imprese.

Nella giornata di ieri l’Eurostat ha inoltre comunicato che a gennaio il tasso di disoccupazione nella Zona Euro è stato pari al 12%, lo stesso valore del mese precedente (dato rivisto), con il numero dei disoccupati sceso a 19,18 milioni di persone. Non altrettanto buono il corrispondente dato italiano rilevato dall’Istat, con un tasso di disoccupazione balzato a gennaio al 12,9%, dato più alto in assoluto sia dall’inizio delle serie mensili (gennaio 2004) sia di quelle trimestrali (primo trimestre 1977). Nel 2013 gli occupati sono diminuiti di 478mila unità (-2,1%) rispetto al 2012, confermando l’anno appena trascorso come il peggiore dall’inizio della crisi, con un numero di disoccupati che ha raggiunto quota 3,1 milioni (+13,4%), dei quali 690mila giovani tra i 15-24 anni (42,4% del totale).

A febbraio l’inflazione in Italia ha fatto poi registrare il valore più basso (0,5%) da ottobre 2009, con un rallentamento dovuto soprattutto ai beni energetici, ai carburanti ed agli alimentari freschi; per contro, nello stesso mese, i prezzi al consumo (stima flash) della Zona Euro hanno registrato un incremento dello 0,8% su base annuale, dato leggermente superiore alle stime degli analisti.

Ultima seduta di ottava debole per i listini asiatici, con l’indice MSCI della regione poco sotto la parità: pesano le speculazioni circa un indebolimento dell’economia cinese, con una contrazione del mercato del credito ed un nuovo e temuto rallentamento del comparto industriale. Lo yuan continua così a deprezzarsi (è ai minimi degli ultimi dieci mesi nei confronti del dollaro) per volontà della banca centrale cinese, tesa a scoraggiare speculazioni al rialzo, in un’incertezza di fondo che si rispecchia nell’andamento delle principali Borse dell’ex Celeste Impero: Shanghai +0,44%,  Hong Kong -0,07%.

Ansie sconosciute al mercato monetario nipponico, che sta vivendo un’eccezionale striscia di rialzi sull’euro da oltre un anno a questa parte; penalizzata anche dall’apprezzamento dello yen nei confronti del dollaro a seguito di dati macro che hanno evidenziato la maggiore crescita dal 2007 del settore manifatturiero e la risalita dell’inflazione, la Borsa di Tokyo (-0,55%) ha chiuso in ribasso.

Termine della settimana borsistica in leggero rialzo per i listini del Vecchio Continente, rassicurati dalla Fed circa la possibilità che il “tapering”, la progressiva riduzione degli stimoli ai mercati ed all’economia, possa ridursi od anche temporaneamente interrompersi qualora si evidenziasse un peggioramento dell’economia americana;  le preoccupazioni per la crisi in Ucraina ed il possibile coinvolgimento della Russia negli affari del paese hanno fatto proseguire la seduta con il segno meno, ma  la buona apertura del mercato americano, con Wall Street positiva e l’indice S&P 500 avviato verso il 48esimo record di chiusura dell’ultimo anno, ha alimentato gli acquisti sulle principali Borse europee, consentendo a Londra di chiudere sostanzialmente invariata ed a Parigi (+0,27%) e Francoforte (+1%) di rialzare moderatamente, mentre Madrid (-0,49%) è rimasta in territorio negativo.

Nonostante un avvio sottotono, frenata dalla cattiva intonazione dei bancari, alla quale, a metà sessione, si sono aggiunti anche alcuni risultati trimestrali al di sotto delle attese (Luxottica, -0,02%) e le condizionanti notizie dall’Ucraina, Piazza Affari (FTSE Mib +0,6%, FTSE Italia All Share +0,59%) è riuscita a terminare l’ultima seduta della settimana con gli indici in territorio positivo.

Comparto bancario protagonista di giornata, con il balzo del con Banco Popolare (+4,8%) a svettare su tutti: grazie al buon risultato del 2013, chiuso con una riduzione di quasi 350 milioni di euro delle perdite nette, Pier Francesco Saviotti, amministratore delegato, ha potuto affermare che l’aumento di capitale da 1,5 miliardi di euro già predisposto permetterà all’istituto di valutare anche l’opportunità di partecipare a possibili operazioni di consolidamento del settore. Molto bene anche Popolare di Milano (+4,55%) mentre risultano contrastati Unicredit (-0,77%) ed Intesa Sanpaolo (+1,35%), per le quali gli esperti di Berenberg hanno ribadito l’indicazione di vendita; in rosso infine Monte dei Paschi di Siena (-0,81%).

Tra i titoli a maggior capitalizzazione segnaliamo il recupero di Telecom Italia (+1,23%) dopo lo scivolone di ieri, costato alla società oltre il 4%; secondo quanto riportato da MF, Fiat Chrysler (-0,52%) avrebbe deciso di rafforzarsi patrimonialmente con un bond convertendo da 1,5 miliardi di euro dopo la scalata a Chrysler.

 Sul fronte del debito sovrano, il differenziale di rendimento tra il Btp decennale ed il Bund tedesco di pari scadenza segna i nuovi minimi da luglio 2011 toccando quota 185 Bp (Basis point, punti base), con il tasso sul decennale italiano in lieve rialzo al 3,48%.

Lo spread tra titoli decennali spagnoli e tedeschi attesta il tasso dei Bonos al 3,50%, con uno spread tornato positivo (cioè maggiore, anche se solo di tre punti base) rispetto all’Italia.

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