Banche sotto stress e Borse zavorrate dai timori per la Cina

TRIESTE – La scorsa ottava si è conclusa con la giornata delle “tre streghe”,  il terzo venerdì di ogni mese che a sua volta chiude un trimestre in cui scadono i principali contratti di future ed opzioni  su indici ed azioni, con Piazza Affari croce e delizia d’Europa: la giornata borsistica sì è infatti conclusa con Milano fanalino di coda tra le principali piazze del Vecchio Continente, performance che si contrappone al progresso settimanale del 3,08% grazie al quale la crescita da inizio anno è salita in doppia cifra, un 10,6% che le conferisce il primato tra i listini di quest’angolo di mondo.

Anche Wall Street ha terminato la settimana al ribasso, nonostante il positivo commento dell’agenzia  Fitch riguardo l’esito degli stress test condotti dalla Fed (superati da 29 banche su 30) abbia spinto l’indice S&P500 a fissare un nuovo massimo storico a 1.884 punti, salvo poi ritracciare sulla falsariga del Dow Jones (-0,29%) e del Nasdaq (-0,98%).  

Il quadro generale che se ne ricava tratteggia il ritorno ad un certo qual ottimismo di fondo che le grandi tensioni in Ucraina, l’atteggiamento più deciso della neo-presidentessa della Fed Janet Yellen ed i timori sulla crescita economica della Cina avevano in parte offuscato, con gli operatori ad averne già scontato l’impatto nelle loro valutazioni. Terminata la stagione delle trimestrali, ecco i dati macro ritornare sotto ai riflettori: quest’oggi la prima infornata di indici PMI previsionali per i servizi ed il manifatturiero (Germania ed Eurozona), seguiti domani  dalle stime preliminari del commercio estero extra UE (febbraio 2014); mercoledì sarà la volta delle considerazioni sul commercio al dettaglio di gennaio e sulla fiducia dei consumatori del Belpaese, seguite ad una giornata di distanza dalla fiducia delle imprese e sui prezzi alla produzione nel settore dei servizi in Italia; sempre giovedì la pubblicazione del PIL a stelle e strisce e le richieste di sussidi per la disoccupazione, mentre a fine settimana si attendono gli aggiornamenti dei dati sui prezzi alla produzione industriale dello Stivale ed i rilievi sull’inflazione europea; a condizionare New York ci penseranno i numeri sulla fiducia elaborati dall’Università del Michigan.

Focus a parte dedicato all’appuntamento di giovedì della BCE (Banca Centrale Europea): nella sua sede di Francoforte saranno convocate le banche europee oggetto dell’Asset Quality Review (cioè la revisione della qualità degli attivi), mentre contemporaneamente vedranno la pubblicazione i bilanci nazionali delle istituzioni finanziarie di Eurolandia. L’esame dell’Eurotower durerà 12 mesi, nel corso dei quali emergerà chiaramente l’entità dei problemi che il sistema bancario europeo si trova ad affrontare:  secondo una misurazione effettuata da Viral Acharya sugli effetti che una nuova crisi finanziaria produrrebbe sui bilanci bancari, le necessità di ricapitalizzazione varrebbero oltre 700 miliardi di euro.  

Premesso che sottocapitalizzazione non significa necessariamente essere destinati al fallimento, i termini dell’accordo faticosamente raggiunto a Bruxelles sull’Unione Bancaria che prevede, dal gennaio 2015, il compito di chiudere o ristrutturare le 130 principali banche dell’Eurozona che si trovassero in difficoltà, non sono particolarmente favorevoli alla tutela del comparto. A detta degli economisti all’impianto legislativo mancherebbe la chiave di volta per impedire l’assalto agli sportelli ed i raid speculativi sugli istituti in default: una garanzia finanziaria implicita, pubblica e comune, sulla falsariga di quanto avviene negli Usa quando il FDIC (Federal Deposit Insurance Corporation) assume il controllo di una banca fallita, con la Federal Reserve a fungere da prestatore di ultima istanza.

Ciò che ha impedito all’UE di giungere ad una simile formulazione è, per l’ennesima volta, l’ostruzionismo della Germania, preoccupata più per la propria contribuzione al salvataggio di istituti di altri Paesi che non per i meccanismi fondamentali dell’economia dei mercati, così facilmente influenzabili da quell’effetto domino per cui il fallimento di una banca in crisi si trasforma rapidamente nel moltiplicarsi del virus del contagio, malattia che abbiamo già verificato non tenere conto dei confini nazionali.

Così, nell’ipotesi migliore e comunque non prima che siano trascorsi altri otto anni, il futuro fondo europeo disporrà al massimo di 55 miliardi di euro, dotazione insufficiente a garantire sonni tranquilli a quei Paesi dimostratisi particolarmente vulnerabili alle crisi bancarie; paradossalmente in caso di “pandemia” bancaria non si potrà ricorrere all’utilizzo dell’ESM (European Stability Mechanism, il meccanismo europeo di stabilità detto anche “Fondo salva-Stati”) ma le ulteriori risorse dovranno essere reperite sul mercato, sottraendo in tal modo liquidità ad un sistema bancario già disidratato dalla crisi.

Fortunatamente, secondo un rapporto redatto da Standard & Poor’s, la ripresa economica dell’Europa sta lentamente prendendo slancio, tanto da prevedere per quest’anno un ritmo di crescita «in media dell’1% e dell’1,4% nel 2015, sulla base di un aumento delle esportazioni nette e di una modesta ripresa degli investimenti». Una visione sostanzialmente condivisa dalla Bundesbank, che nel suo Bollettino mensile sottolinea come l’economia tedesca evidenzi «un sostanziale rafforzamento» segnando «una crescita molto forte nel primo trimestre» dell’anno.

A dispetto di tali affermazioni a marzo l’indice PMI che monitora l’attività manifatturiera in Germania è calato a 53,8 punti da 54,8 di febbraio, accompagnato da una flessione anche dell’indice dei servizi; l’indice PMI composito segna così un ribasso a 55 dal 56,4 di febbraio, il livello più alto da maggio 2011. Anche l’indicatore PMI composito dell’Eurozona a marzo è sceso di un punto, mentre i dati dell’economia francese registrano il suo passaggio alla fase di espansione grazie a rilevazioni superiori alle stime degli analisti: il PMI manifatturiero (stima flash) è salito a 51,9 punti rispetto ai 49,7 del mese precedente, così come quello PMI dei servizi ha toccato i 51,4 punti contro i 47,2 precedenti.

Avvio di settimana positivo per le Borse asiatiche e del Pacifico, che ormai non si lasciano più impressionare dai dati negativi dell’industria cinese.

Dopo la pausa di venerdì in occasione della festività nazionale della primavera, gli investitori sono tornati a riposizionarsi sul mercato giapponese sulla spinta dei positivi dati macro degli Usa e del deprezzamento dello yen, in un generale ritorno alla propensione al rischio che ha propiziato il rally del Giappone, con il significativo rimbalzo della Borsa di Tokyo (+1,77%).

La lettura preliminare dell’indice PMI del settore manifatturiero cinese ha registrato un calo superiore alle attese per un ulteriore debolezza della domanda interna: questo rende ancora più urgente il cambio della politica economica promesso da Pechino, impegnatasi alla fine dello scorso anno in un rilancio dei consumi locali; a seguito delle speculazioni sugli interventi del Governo a sostegno dell’economia, Shanghai è salita dello 0,91%, mentre Hong Kong ha segnato +1,91%.

Avvio negativo sulle principali piazze finanziarie del Vecchio Continente, dove gli operatori si sono fatti condizionare dalle tensioni politiche in Crimea, proseguita con il segno meno a causa dei timori sulla crescita economica cinese; in chiusura la migliore è Londra (-0,56%) seguita da Parigi (-1,36%) e Madrid (-1,39%), maglia nera a Francoforte (-1,65%).

Seduta decisamente negativa anche per Piazza Affari (FTSE Mib -1,65%, FTSE Italia All Share -1,58%), che pure aveva aperto in rialzo dello 0,2% per poi passare in territorio negativo in linea con i principali listini europei, penalizzati dall’avvio in rosso di Wall Street.

Anche oggi al centro degli scambi la galassia Unipol: prese di beneficio su Unipol-Sai (-1,76%) che venerdì era stata protagonista di un portentoso rally (+9,8%), con gli analisti di Goldman Sachs ad alzare il prezzo obiettivo in seguito al miglioramento delle stime sul dividendo per i prossimi esercizi. Generale calo dei bancari, con Unicredit (-1,7%) ed Intesa Sanpaolo (-2,52%) in flessione; unica eccezione il Monte dei Paschi di Siena (+1,54%), che secondo quanto riportato da alcune agenzie stampa starebbe studiando l’emissione di un bond garantito. Telecom Italia (-1,72%) debole in attesa della riorganizzazione su tre divisioni (fisso, mobile e servizi) focalizzate sui due mercati di attività, Italia e Brasile. Calo infine per  Fiat Chrysler (-1,44%)dopo la riduzione di Norges Bank della quota detenuta nel capitale della società automobilistica.

Sul fronte del debito sovrano chiusura in rialzo dello spread, il differenziale di rendimento tra il Btp decennale ed il Bund tedesco di pari scadenza, salito a 183 Bp (Basis point, punti base) dai 178 Bp di venerdì scorso, per una resa del decennale italiano fissata al 3,40%.

Il rendimento del Bonos al 3,34% è ancora migliore di quello dei Btp del Belpaese, conseguenza di un differenziale di 176 punti base tra titoli decennali iberici e tedeschi.

Condividi sui social

Articoli correlati