L’Europa paga gli errori della BCE: deflazione e crescita zero

TRIESTE – Dopo gli importanti meeting della Bank of England e della Banca Centrale Europea tenutisi nella settimana precedente a quella di Ferragosto, complice la ricorrenza di mezz’estate il calendario economico è risultato meno ricco quanto a pubblicazioni di dati rilevanti, ma non per questo i mercati finanziari hanno dormito sonni tranquilli, agitati dai numerosi focolai internazionali di tensione e guerra in drammatica escalation, come testimoniato dai recenti raid aerei degli Stati Uniti in Iraq.

Cominciata con il peggioramento delle stime sull’economia italiana da parte dell’agenzia di rating Moody’s, dovute alla lentezza con cui il nostro esecutivo sta perfezionando le riforme, la scorsa ottava è poi proseguita registrando il sensibile calo (ottavo ribasso consecutivo del nuovo minino dal dicembre 2012) dell’indice ZEW, elaborato dall’omonimo istituto di ricerca tedesco che misura le aspettative degli analisti sullo sviluppo dell’economia in Germania nell’arco dei sei mesi futuri, a cui si è associata la flessione dello 0,2% del Prodotto Interno Lordo (PIL) di Berlino nel secondo trimestre dell’anno, inequivocabile segno del rallentamento della locomotiva d’Europa. 

A conferma di quanto l’intera Zona Euro rimanga caratterizzata da una ripresa «moderata e disomogenea» registriamo ancora il calo dell’inflazione in Italia, Francia e Spagna, con il solo indice sui prezzi al consumo tedesco in controtendenza; contrazione del PIL greco (stima flash) nel secondo trimestre mentre restano sostanzialmente immobili i dati dell’economia francese e di quella dell’Eurozona, a corollario dei quali si pongono il nuovo drammatico record del debito pubblico italiano, che l’aumento di quasi 100 miliardi (99,1 per l’esattezza) negli ultimi sei mesi ha portato alla cifra di 2.168,4 miliardi di euro, ed il superamento del tetto di mille miliardi di euro per quello spagnolo, il cui rapporto con il PIL si sta avviando ampie falcate verso la soglia del 100%, prevista per i  primi mesi del 2015.

Il governo di Parigi ha annunciato che non sarà in grado di rispettare i previsti target di crescita fissati con l’Unione Europea (UE) e che il deficit francese sforerà la soglia del 4% del PIL, il tetto imposto dai patti con Bruxelles, mentre la Germania ha rivisto al ribasso le proprie stime di crescita: sebbene le notizie sul fronte economico non abbiano alimentato tensioni sullo spread, il differenziale di rendimento tra titoli di Stato e quelli del Bund di pari scadenza, il  Vecchio Continente rischia di entrare in una spirale deflattiva.

In tutte le conferenze stampa tenute dall’inizio dell’anno, Mario Draghi, presidente della Banca Centrale Europea (BCE), aveva sempre parlato di un avvicinarsi della ripresa, sfumandone progressivamente la descrizione: dapprima «lenta», a giugno è diventata di colpo «un po’ più debole del previsto», per trasformarsi in «moderata e diseguale» all’inizio di questo mese; dopo Ferragosto è risultato palese che la ripresa semplicemente non esiste: crescita zero.

I prezzi in caduta in Spagna, Portogallo, Grecia (di fatto anche in Italia) e la  frenata dell’inflazione spingono 

famiglie ed aziende a rinviare i consumi in attesa di prezzi futuri ancora più bassi,  contribuendo ad un più  lungo ristagno dell’economia; con l’inflazione pressoché a zero aumenta il peso reale dei debiti, i cui interessi non variano ma calano le disponibilità per farvi fronte, peggiorando la contabilità di nuclei familiari, imprese e Governi: lo stesso Fiscal Compact diventa più difficile da rispettare e quindi meno credibile.

Come già praticato da Federal Reserve (sin dal 2009), Banca del Giappone (BOJ) e d’Inghilterra (BOE), per fronteggiare questa situazione la BCE dovrebbe applicare il così detto “Quantitative Easing”, l’acquisto a tappeto per almeno mille miliardi di euro di titoli pubblici e privati dei Paesi dell’area euro, che, se avesse già trovato realizzazione, avrebbe potuto risparmiare parte dei problemi di debito, crollo degli investimenti e stallo dell’export che oggi affliggono il Vecchio Continente. Ad opporsi ad un simile agire la Bundesbank e le persone da questa espresse nell’Eurotower, sempre convinte che creare moneta ed ampliare il bilancio della BCE avrebbe creato troppa inflazione, un evidente errore di valutazione al quale sembra proprio essere giunta l’ora di porre rimedio. Le difficoltà di Draghi sono costituite dal fatto che la Germania è di gran lunga il primo azionista della BCE, situazione che rende molto difficile imporle un agire esposto al rischio di sobbarcarsi centinaia di miliardi di debito italiano: da qui la necessità per il Belpaese di ricostruire una credibilità che in Europa ha perso da tempo.

Certamente la lettera inviata un mese fa dalla Commissione Europea al Governo italiano non è d’aiuto: Bruxelles è categorica nell’attribuire all’Italia gravi problemi di governance, una Pubblica Amministrazione inefficiente e malfunzionante. Nonostante il ritorno del Paese in recessione, l’esecutivo “per il momento” non ha ancora adottato un piano ed una strategia chiari ed efficaci per farvi fronte, tanto che agli occhi della UE risultiamo deficitari praticamente in tutti gli ambiti che contano per il rilancio: agenda digitale («Manca una vera strategia»), innovazione («Calo significativo dei fondi»), aziende («Identificazione ancora insufficiente degli interventi strutturali necessari per riguadagnare competitività»), cultura («Assenza di un progetto strategico e di cenni alle lezioni apprese dal periodo di programmazione 2007-2013»), istruzione («Le percentuali di risorse destinate all’abbandono scolastico per le regioni meno sviluppare -12%- e di partecipazione all’istruzione superiore -2%- sembrano basse rispetto alla portata dei problemi in queste aree»).

Queste le premesse dalle quali ha preso le mosse e si è sviluppata l’ottava di Borsa conclusasi ieri che, pur confermando sostanzialmente le difficoltà del contesto internazionale ed europeo, idealmente poneva il suo momento clou nell’apertura del simposio di Jackson Hole, vertice organizzato annualmente dalla Federal Reserve di Kansas City che a fine agosto riunisce nel Wyoming i principali banchieri centrali di tutto il mondo. Particolarmente attesi gli interventi di Janet Yellen, presidente della Federal Reserve, e Mario Draghi: dopo la pubblicazione dei verbali dell’ultima riunione della Fed, dai quali appare sempre più vicino un possibile cambio della “forward guidance”, le parole della Yellen potrebbero dare ulteriori indicazioni sulle tempistiche di un possibile rialzo del costo del denaro, così come c’è grande attesa per le dichiarazioni di Draghi sull’andamento della Zona Euro, che stenta ancora a ripartire.

Al nuovo record dello S&P500 (massimo storico a 1.995 punti segnato giovedì) che accompagna il rialzo dell’indice Fed di Philadelphia (28 punti rispetto ai 23,9 di luglio), segnali che la ripresa americana si sta consolidando anche se il mercato del lavoro resta ancora troppo fragile per giustificare un aumento dei tassi, si contrappongono il passivo della bilancia commerciale UE a giugno, il peggioramento dell’indice di fiducia dei consumatori (stima flash) nella zona Euro e la frenata della crescita economica europea ad agosto, con gli indici PMI manifatturiero e dei servizi in peggioramento anche se il sistema economico rimane tecnicamente in fase di espansione. Anche se la capacità di acquisizione di beni e prestazioni in Germania è stata superiore alle attese, i prezzi alla produzione hanno registrato una nuova flessione, mentre l’incerto andamento dell’economia francese è valso un nuovo taglio sulle stime del PIL da parte di Moody’s, il secondo nell’arco di una settimana.

Il fondo hedge Bridgewater ha invece focalizzato la propria attenzione sul Belpaese, evidenziando come, dal 2008, non abbia fatto che peggiorare le condizioni del debito pubblico, della produzione industriale, del mercato del lavoro e della competitività. Nonostante la fiducia accordata dal mercato negli ultimi due anni ed il progressivo miglioramento degli indicatori di rischio, giunti oggi ad un’apparente normalità, secondo il report l’Italia resta bloccata in una situazione di “equilibrio scomodo” con alti costi del lavoro, ristagno dell’export, disoccupazione persistente e crollo dei consumi interni. 

Listini asiatici nuovamente in rialzo, con l’indice Msci della regione a guadagnare lo 0,2% e portarsi così ad un passo dai massimi degli ultimi sei anni. Lieve calo per la Borsa di Tokyo (-0,3%) in una seduta prudente dopo nove rialzi consecutivi, in attesa delle indicazioni di Janet Yellen nel suo intervento in occasione del Jackson Hole. L’evidente stato di salute dell’economia americana è motivo di grosso ottimismo sui mercati mondiali, tale da prevalere anche sul calo da 51,7 a 50,3 punti dell’indice PMI per la Cina, valore prossimo alla soglia di contrazione (inferiore a 50 punti) dell’attività manifatturiera. Secondo gli analisti di HSBC «I dati pubblicati oggi segnalano che la ripresa economica sta ancora continuando, anche se il suo ritmo ha di nuovo rallentato», rendendo necessari ulteriori stimoli da parte del Governo per aiutare il consolidamento della ripresa; nonostante ciò Shanghai ed Hong Kong hanno chiuso rispettivamente a +0,46% e +0,37%. 

Avvio debole per i principali listini europei, con il prevalere di prese di beneficio dopo i guadagni realizzati nelle ultime sedute che estendono le perdite al giro di boa della seduta; la prudenza degli operatori si è trasformata in vendite dopo le dichiarazioni interlocutorie della Yellen a Jackson Hole, anche se a trarre vantaggio da questo atteggiamento sono al momento le società del Vecchio Continente particolarmente esposte sul mercato americano, favorite da un rapporto euro/dollaro più propizio; negative Parigi (-0,93%) e Francoforte (-0,66%), sostanzialmente invariata Londra (-0,04%).

Partenza piatta anche per Milano, che nonostante la buona intonazione del comparto bancario a metà sessione è in negativo; a pesare sul listino italiano le vendite su Eni (-1,29%) ed alcune blue chip del settore industriale, come Prysmian (-0,97%), che hanno decretato il ribasso di Piazza Affari (FTSE Mib -0,46%, FTSE Italia All Share -0,46%) nell’ultima seduta della settimana.

Tra i finanziari acquisti su Monte dei Paschi di Siena (+2,73%), Popolare dell’Emilia Romagna (+1,02%) e Popolare dell’Etruria e del Lazio (+2,64%), quest’ultima sui rumors di una possibile trasformazione in società per azioni; tra i titoli a maggior capitalizzazione sostanzialmente invariata Luxottica (-0,05%) dopo i ribassi di giovedì, mentre i vertici di Telecom (-1,25%) preparano un incontro a tre con Vincent Bolloré (principale azionista di Vivendi) ed Alberto Nagel (numero uno di Mediobanca).

Sul fronte del debito sovrano la differenza di rendimento tra il titolo decennale italiano (Btp settembre 2024) ed il corrispondente omologo tedesco ha chiuso a 159 Bp (Basis point, punti base) con un tasso del 2,57%. In calo lo spread tra il Btp e il Bund tedesco con scadenza a due anni, sceso a 39 Bp per un rendimento dello 0,38%.

Lo spread tra titoli spagnoli decennali e Bund tedeschi ha segnato 139 punti base, col rendimento del Bonos al 2,37%.

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