Buried. Una metafora cinematografica sulle nostre paure

Un cellulare, un accendino, un coltellino da tasca, una penna per scrivere, una fiaschetta per bere, un piccolo sacchetto con dentro una torcia, un fogliettino di carta, e delle pillole per l’ansia.

Un Capolavoro! Il film di Rodrigo Cortes, già avvincente dai titoli di testa, completamente girato all’interno di una cassa di legno, sotto il suolo iracheno, segue le disperate gesta di Paul Conroy, a poche ore da morte certa, e alla ricerca di qualcuno che lo tiri fuori da lì. I 90 minuti incastrati tra loro a suon di telefonate, suppliche d’aiuto, e respiri affannati, diventano minuti d’oro nel quale trattare ed inquadrare in maniera spietata e claustrofobica (come la bara in cui si trova intrappolato il protagonista) il dolore della guerra, l’egoismo umano, o ancora peggio l’avidità che si cela dietro ad ogni mostro senza faccia. Infatti scopriremo presto che il terrorista è avido e non ha un volto, il capo dell’azienda per cui lavora Paul Conroy è avido e non ha un volto, come la stessa guerra, che fa da raccordo ai numeri che finiscono scritti sopra il legno, è avida e senza volto.

 

Cortes quasi senza speranza confezione un thriller perfetto, e poco importa se questo sia girato in pochi centimetri di spazio, o se l’unico attore coinvolto (un ottimo Ryan Reynolds) sia un attore americano dedito principalmente alle commedie con Sandra Bullock; Buried è la palesazione schietta ed onesta che le idee pagano ed un buon copione può solo che rafforzare un soggetto di base  ben scritto. Straordinarie alcune riprese, dai primi piani agli occhi madidi di sudore di Reynolds, alle inquadrature strette e impossibili verso oggetti e angoli della cassa. I Grandi Maestri del Thriller (c’è chi ha chiamato in causa persino Hitchcock) apprezzerebbero il lavoro svolto dal regista spagnolo, altri lo definirebbero un azzardo, finale shock compreso. Ma su di una cosa concorderebbero tutti all’unanimità… “Buried” è tra i film più originali della stagione. Un modo diverso per attaccare quel sistema che sembra non preoccuparsi di noi. Una metafora cinematografica delle nostre paure: paura del buio, paura del silenzio, paura della solitudine, paura di non essere compresi, paura di scegliere. Paura di doversi poi pentire. Perchè è quello che finirà per fare Paul Conroy… pentirsi.

Trailer



Trailer fornito da Filmtrailer.com

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