Venezia. Il sindaco vuole sanare i conti vendendo opere d’arte

ROMA – Il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro vuole sanare i conti e lancia l’ipotesi, alquanto discutibile, di vendere i quadri di proprietà della città lagunare. Si parla di opere come La Giuditta II di Gustav Klimt, ritenuta uno dei pezzi più pregiati della Galleria d’Arte Moderna di Cà Pesaro. Oppure il Rabbino di Vitebsk di Marc Chagall.

 Insomma, il primo cittadino fa intendere che esclusi i quadri di Tiziano, del Canaletto o dei vedutisti italiani, le vendite di opere nei Musei civici veneziani farebbero incassare al comune circa 400 milioni di euro. Una cifra importante che porterebbe linfa vitale alle misere casse comunali, penalizzate dal patto di stabilità, che al momento  sono sotto di ben 60 milioni di euro. Ma non è tutto. Il sindaco auspica che questa modalità possa addirittura essere presa in considerazione da altri comuni.

La sua proposta integrale è contenuta in un rapporto  che lo stesso Brugnaro ha consegnato ai parlamentari veneziani, in cui si parla di «valorizzazione del patrimonio mobiliare attraverso la vendita e monetizzazione di opere d’arte di natura pittorica che non pregiudicano l’integrità delle collezioni esistenti». Bugnaro ha inoltre sottolineato: « Piuttosto di vedere scuole o biblioteche a pezzi faccio questa scelta: prima di morire guardando il quadro vendo il quadro».

Tuttavia, l’idea di Brugano di vendere parte del patrimonio artistico della città,  ha già fatto discutere, in primis il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, unico che potrebbe autorizzare una simile operazione. «Penso sia solo una battuta o più comprensibilmente una mezza minaccia per chiedere più risorse al governo in vista della stabilità», replica  Franceschini, secondo cui «le norme del Codice beni culturali per evitare lo smembramento delle collezioni pubbliche e garantire la pubblica fruizione delle singole opere, chiudono il dibattito. Un dibattito che, visto dall’estero, fa altro male alla credibilità italiana».

Alle parole di Franceschini fanno eco quelle di un autorevole esponente dell’arte, ovvero il critico  Philippe Daverio: «L’idea di Brugnaro è illegittima dal  punto di vista amministrativo, il sindaco dovrebbe sapere che la spesa corrente e la spesa in conto capitale non possono confondersi, non si può vendere un palazzo pubblico per pagare i netturbini, altrimenti a  Roma avrebbero risolto tutti i problemi in un attimo».  Insomma, il critico boccia senza appello la proposta lanciata dal primo cittadino di Venezia.  «Depauperare i musei veneziani – aggiunge Daverio – da un punto di vista etico è criminale. Inoltre, il fatto che Klimt sia scritto con la ”k” non vuol dire che non sia veneto. La sua arte infatti – spiega il critico – deriva dalla cultura veneziana e dall’arte dei mosaici di Ravenna. Quindi – conclude Daverio – è da analfabeti dire che Klimt non c”entra nulla con il Veneto perché è un prodotto dell’arte dell’Alto Adriatico».

Del parere opposto il critico d’arte Vittorio Sgarbi che, come sempre controcorrente, plaude alla proposta lanciata dal primo cittadino di Venezia: «Brugnaro ha fatto benissimo, la sua idea è davvero interessante e molto logica. Non si tratta di vendere un Canaletto o un Tiziano. Si parla di opere che non sono legate alla storia di Venezia – afferma Sgarbi – Klimt a Venezia è un corpo estraneo, il suo quadro può stare ovunque, a Parigi come a New York. Sono autori che sono stati comprati negli anni passati e quindi possono essere venduti».

Eppure in passato il critico d’arte aveva sempre bocciato le proposte di vendere opere d’arte del patrimonio per  fare cassa. «Perché fino ad oggi – continua Sgarbi – si era sempre parlato di mettere all’asta opere di deposito, minori, che nessuno conosce e che quindi nessuno comprerebbe. Il sindaco di Venezia invece ha fatto una proposta interessante. Il quadro di Klimt varrà almeno 200 milioni e quello di Chagall almeno 80 – conclude il critico d’arte – si tratta quindi di quadri importanti, che possono davvero risolvere i problemi di una città».

Assolutamente critica la Cgil di Venezia. A stigmatizzare l’assuridtà di questa eventuale decisione è il sindacalista Andrea Lenarduzzi che dichiara che vendere quei quadri è “come spegnere una luce, consegnare una parte di patrimonio pubblico prezioso”. E aggiunge ancora: “Signor sindaco, non consideri la crescita culturale un fattore secondario.  Non faccia percepire ai cittadini che un’opera d’arte che loro posseggono (il patrimonio in vendita appartiene a tutti noi), è una merce. Li faccia esporre quei quadri – sottolinea ancora – e valorizzi tutto il patrimonio della città, che è essa stessa tutta patrimonio, e non un luna-park per il turismo mordi e fuggi, li renda patrimonio della collettività e valore condiviso e orgoglioso. Ci porti gli operai e i loro figli a vederli quei quadri e trovi anche qualcuno che glieli spieghi, quei quadri”. Per la Cgil insomma “la rinascita della città e dei sui cittadini, parte anche da qui”.

 

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