Come d’incanto, svanì il sogno berlusconiano sull’innocenza di Dell’Utri

Le motivazioni depositate della sentenza della Corte di Cassazione con la quale gli ermellini hanno deciso di far celebrare nuovamente il processo di appello per Marcello Dell’Utri sono state una vera mazzata per i trombettieri berlusconiani, che avevano esultato il 19 marzo scorso. Una mazzata da cui difficilmente riusciranno a riprendersi.

Oggi è tutto un arrampicarsi sugli specchi da parte di Stefano Zurlo su “Il Giornale” il quale cerca disperatamente di spiegare ai suoi lettori increduli (“Ma allora i pm comunisti avevano ragione?” avrà pensato qualcuno di loro dopo aver ascoltato la ferale notizia) che Berlusconi era una vittima della mafia, che era stato costretto a pagare e che Dell’Utri non fece altro che difenderlo dalla violenza mafiosa. Noi siamo solidali con Zurlo; non credo sia facile per nessuno scrivere un articolo in quelle condizioni.

Ma ciò che più stupisce è pensare alle reazioni del 19 e del 20 marzo scorsi. Una decisione, quella della Cassazione, che non aveva affatto “assolto” Dell’Utri ma aveva semplicemente cassato con rinvio la sentenza di appello (che aveva confermato la sua condanna a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa) per difetto di motivazioni, per giunta su un periodo preso in considerazione (dal 1977 al 1982, quando Dell’Utri lasciò la “Fininvest” per andare a lavorare con Filippo Alberto Rapisarda, amico di vari mafiosi e accusatore del senatore). Ora, come sa bene anche uno studente di giurisprudenza, se la suprema Corte “cassa con rinvio” significa che il processo deve rifarsi perché le motivazioni presentano difetti logici o carenze sostanziali, mentre se “cassa senza rinvio” significa che ha annullato la sentenza, prosciogliendo l’imputato in modo definitivo. Ma non solo i giudici di legittimità non fanno fatto questo ma hanno ribadito a chiare lettere che Marcello Dell’Utri fu il mediatore fra Berlusconi e Cosa nostra e che effettivamente favorì il sodalizio criminale perlomeno dai primi anni ’70, appunto quello che i pubblici ministeri di Palermo hanno sempre pensato e che per questo si sono sempre trovati di fronte al nemico peggiore: il Governo presieduto da Berlusconi stesso.

Insomma, la decisione della Corte a tutto doveva portare meno che a stappare le bottiglie di Dom Perignon. Ed invece, i commentatori di casa Arcore si sbizzarrirono in commenti assai duri sui giudici (come al solito) e sui giornalisti seri che hanno il brutto vizio di non essere retribuiti direttamente dal reuccio di Arcore. «Nessuno potrà mai sanare la gravità delle accuse e il peso delle sofferenze ingiustamente patite dal senatore Dell’Utri nel corso di questi anni» urlò fra le lacrime Sandro Bondi. Si consoli, Bondi, perché non c’è proprio nulla da sanare.

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