Pierferdy Casini fa i giochi. L’Italia morirà democristiana

Berlusconi le idee ce l’ha chiare: «dobbiamo allearci con Casini a tutti i costi, solo con lui si batte la sinistra» ripete come un ritornello dei suoi vecchi successi degli chansonnier francesi che cantava durante le crociere. Fino ad ora il leader dell’Udc ha fatto orecchie da mercante. Fino ad ora. Già, perché la irreversibile crisi di Umberto Bossi e la imponente ascesa di Roberto Maroni avrebbero convinto Pier a tornare all’ovile, cioè nel centro-destra, sua naturale sponda politica.

Tempo fa, i suoi collaboratori lo avevano sentito ripetere che «non posso stare a contrattare ogni cosa con Bossi» ed era proprio questo che impediva ai centristi anche di ipotizzare una nuova alleanza con il Pdl. Ma ora, con Maroni nuovo segretario della Lega, Casini non prova più gli imbarazzi di prima.

Nello stesso tempo, il leader centrista sente l’aria sul collo dell’alleanza fatta con Bersani, Rutelli e Fini. Del primo oramai si è convinto che non riuscirà mai a staccarsi del tutto dal radicalismo di Vendola e Di Pietro, mentre del secondo e del terzo ammette in gran segreto che sarebbe disposto a sacrificarli (quasi impossibile, infatti, che Rutelli e Fini lo seguano in una nuova alleanza con Berlusconi).

Lo scenario che oggi diversi analisti compongono è dunque un ricompattamento del centro-destra sul nome di Casini, il quale imporrebbe al Pdl la sua premiership a scapito di quella di Angelino Alfano. Ma non è detto che il progetto casiniano riesca ad andare in porto. Per questo motivo, il leader centrista non vuole del tutto rovinare la sua intesa con Bersani: se infatti, il nuovo Partito della Nazione non dovesse allearsi con Berlusconi, allora la carta che tenterebbe sarebbe quella di salire al Quirinale e qui servirebbe, ovviamente, l’appoggio del Partito democratico.

Comunque la si voglia girare, ancora una volta, l’Italia sembra avviluppata nelle maglie di un democristiano. Se davvero il suo destino politico è legato alle mosse dell’ex braccio destro di Arnaldo Forlani, mentre anche il Partito democratico si mostra del tutto incapace di un’elaborazione autonoma e di un progetto che porti il Paese verso un governo socialista, come sta succedendo in Francia, allora significa che non siamo alla frutta ma all’ammazzacaffè.

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