L’uscita dell’Italia dall’Euro non è più un tabù

Oramai non è più soltanto Beppe Grillo, il trionfatore delle elezioni parmigiane, ad auspicarlo. Un’Italia che ritorna alla cara, vecchia lira comincia ad essere un’immagine che circola nei pensatoi economici e che raccoglie più di un’adesione.

Uno dei primi a suggerire questa possibilità (per ora ancora remota) è stato nientemeno che il premio Nobel Paul Krugman, che proprio qualche giorno fa ha disegnato uno scenario apocalittico per i paesi europei. Dopo l’uscita dall’Euro della Grecia (entro il mese prossimo), si creerebbe il panico fra i correntisti italiani e spagnoli, che correrebbero a ritirare i loro depositi bancari per dirigere i loro soldi verso la Germania.

Krugman oramai ritiene che la moneta europea sia una palla al piede per tutti. Per i Paesi sviluppati dell’Europa settentrionale perché costretti a condividere un’unica unità monetaria con quelli più deboli e indebitati; per questi ultimi, perché non possono utilizzare l’arma della svalutazione per aumentare le esportazioni.

Secondo altri analisti, fu proprio l’uscita dell’Italia dal serpente monetario europeo, nel settembre del 1992 a contribuire a salvare il Paese dal baratro, consentendo alle merci italiani di essere più competitive sui mercati internazionali. L’uscita dall’Euro potrebbe provocare gli stessi risultati. Secondo l’economista Paolo Savona (una sfilza di incarichi prestigiosi, fra i quali il ministero dell’industria nel governo presieduto da Carlo Azeglio Ciampi), il ritorno alla lira consentirebbe al nostro Paese di recuperare il controllo di tre variabili strategiche: il rapporto di cambio con le altre monete, il livello dei tassi di interesse e il controllo della massa monetaria. Il problema, semmai, è che si può pensare ad un’exit strategy, cioè ad un’uscita dall’Euro programmata, perché altrimenti i danni potrebbero essere molto ingenti (con la crescita esponenziale dell’inflazione, come negli anni ’90).

C’è anche chi è ancora più drastico nel giudizio sulla moneta unica, associando l’analisi economica a considerazioni prettamente politiche. È il caso di Alberto Bagnai, docente di economia politica a Pescara, che dichiara al quotidiano on line «Lettera 43»: «L’euro è stato un furto di democrazia: con la moneta unica, è stato intrapreso un cammino che era un vicolo cieco e che inevitabilmente avrebbe comportato una crisi».

Ma forse si tratta di giudizi troppo drastici o troppo poco cauti. Che dietro alla decisione di adottare la moneta unica europea ci sia stata superficialità e soprattutto un deficit di unità politica, che le utopie di Jean Monet e di Altiero Spinelli abbiano forse forzato troppo la mano alla leadership europea della fine degli anni ’90 del secolo scorso, è possibile. Ma nessuno è in grado di dire cosa sarebbe successo in un’Europa con trenta monete diverse una dall’altra, in competizione fra di loro e senza alcuna rete di protezione nei confronti del superdollaro o della moneta cinese, forse futura protagonista degli scambi internazionali.

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