Pd. Dopo le belle primarie il cambiamento si è fermato

ROMA – E’ mia convinzione che al fondo del successo elettorale del movimento cinque stelle vi sia una forte domanda di cambiamento delle forme della politica. Certamente i contenuti programmatici sono assolutamente fondamentali (grave la sottovalutazione del centro sinistra dei temi ecologici), ma, nell’attuale transizione politica, le forme della politica non sono affatto secondarie.

Queste forme oggi sono vissute da molti cittadini, in particolare da chi ha dato il voto al M5S,  come estranee, incapaci di riconoscere e farsi carico dei loro bisogni e, conseguentemente, di tradurli in scelte programmatiche. Un corto circuito che produce un crollo di fiducia che induce al rifiuto di forma e sostanza. 

Sembrava che il PD avesse capito ma, dopo le belle giornate delle primarie felice sintesi di forma e sostanza, il messaggio di cambiamento si è fermato ed è tornata a prevalere l’idea di un PD “garante” delle politiche del governo tecnico a prescindere dalle proposte programmatiche. Non sto parlando di strategie comunicative, dell’uso della televisione, della rete, dei comizi, cose tutte a cui dare la dovuta attenzione, ma che certamente non sono dirimenti. Lo sta a dimostrare la scelta dei comizi (la forma più “vecchia” di comunicazione politica) da parte del M5S antesignano dell’uso della rete. 

La questione è più di fondo e sta nelle forme politiche capaci di far sentire i cittadini protagonisti responsabili di scelte politiche anche quando queste non sono del tutto condivise (misure sul lavoro, sulle pensioni, sulla sanità ecc.). 

Nelle proposte del “Laboratorio politico per la sinistra” questa punto veniva indicato come questione nodale a cui dare grande attenzione. Purtroppo non si è dato ascolto. Oggi il Partito Democratico, cui spetta l’onere e l’onore di dare un governo al Paese, deve sapere che questo è un nodo ineludibile da iscrivere nel dossier della “riforma della politica” a cui dare risposte tempestive. 

Due sono le strade da seguire se vogliamo che onestà, trasparenza, partecipazione, affidabilità, snellimento burocratico, eliminazione delle logiche lobbistiche e clientelari, efficienza amministrativa, riduzione dei costi e degli sprechi, siano gli assi centrali del cambiamento per riportare al centro della politica i diritti e il ruolo dei cittadini. 

La prima è riaffermare il ruolo della rappresentanza politica come indicato nella Carta Costituzionale, negli ultimi anni deformata da una nefasta deriva populistica, personalistica e lobbistica. Questo richiede la riforma elettorale e, nello stesso tempo, una profonda riforma  dei partiti, oggi ridotti a contenitori e raccoglitori di consenso elettorale, che li riporti ad essere formatori di coscienza sociale e spirito pubblico a partire da una rinnovata capacità di comprensione della concretezza dei problemi reali dei cittadini, radicati attivamente nella società civile e non solo in quella istituzionale. 

La seconda è dare più voce alla società “civile organizzata” riconoscendo la complementarità tra democrazia rappresentativa e democrazia partecipativa, così come indicata  dallo stesso Trattato di Lisbona. Negli ultimi due decenni la crescente domanda di ruolo da parte della “società civile organizzata” e le stesse esperienze di governo partecipato in tante città italiane, si sono scontrate tutte contro il limite di non essere incardinate nel sistema istituzionale.  Oggi, se vogliamo impedire che la deriva populistica sconquassi ulteriormente la nostra democrazia, a quella domanda  deve essere data una risposta per renderla una forma di essere ordinaria, esigibile e cogente.

Certo, tenuto conto del loro carattere di partiti personalisti, non credo che questo percorso possa incontrare una particolare sensibilità da parte del PdL e di Scelta Civica, penso invece che questo sia il terreno su cui andare a verificare  la sostanza politica delle delegazioni parlamentari del M5S.

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