La Bruciante crisi del Pd. Considerazioni eccentriche

ROMA – Siamo tutti, in queste ore, appesi alle cronache televisive che ci trasmettono il susseguirsi delle votazioni per il Quirinale. Può dunque avvenire che la lettura di queste righe trovi ciascuno già attento a novità dell’ultimo minuto, ma razionalizzare gli eventi è sempre utile, anche al di là della frenesia del tempo reale.

Rimane bruciante la crisi del PD a seguito della frana causata dalla candidatura di Franco Marini. Si ragioni, dunque, di questo; al di là degli psicodrammi, dei roghi purificatori di tessere (vere o finte); di ogni furore palingenetico.
Condivido il giudizio secondo cui la candidatura di Marini è stata un errore grave da parte di Bersani (e di chiunque altro, assieme a lui, l’abbia compiuta); dissento, tuttavia, dalle motivazioni addotte da grande parte di coloro che hanno, in queste ore, pubblicamente manifestato e argomentato il proprio dissenso sulla scelta. Si potrebbe dire: “ormai la questione è superata dai fatti, guardiamo oltre”; ma forse c’è qualcosa nella vicenda che allude al futuro prossimo, e dunque è necessario e salutare discuterne.
Il giudizio più diffuso suona più o meno così: “nessuna obiezione sul merito -Marini è persona degnissima- il metodo è sbagliato; nessuna intesa con il caimano”.
Per quel che vale, trovo in quel giudizio un ché di farisaico che vale la pena svelare, affinché non si ingenerino ulteriori ambiguità politiche. Penso, infatti, che l’errore fondamentale sia consistito nella scelta della candidatura. Nel merito, piuttosto che nel metodo.  
Di certo Marini è persona degnissima; al pari di alcune decine di milioni di italiani. Altrettanto vero che il suo nome non è parso -pare a nessuno, nemmeno a chi scrive- sufficientemente autorevole, né in sintonia con il bisogno di novità che attraversa la parte migliore della società italiana. E aggiungo che, in verità, da questo punto di vista, fatico ad intravedere le caratteristiche auspicabili anche nella figura di Rodotà.
Per quanto riguarda il metodo, cioè la ricerca di una candidatura largamente condivisa fra i diversi gruppi politici parlamentari, penso fosse la strada giusta. Non solo per la funzione di garanzia della unità della nazione, tipica della suprema magistratura della Repubblica, ma anche per ragioni attinenti la fase politica. Mi permetto di ricordare a tutti coloro che si riconoscono nel campo della sinistra le argomentazioni che lo stesso Bersani ha più volte sostenuto durante la fase delle sue consultazioni per la formazione di un nuovo Governo, motivando la proposta da lui stesso definita di “doppio binario”. Da una parte l’insediamento di una sede largamente condivisa per la progettazione delle riforme istituzionali; dall’altra l’insediamento di un governo caratterizzato da un programma fortemente innovativo, svincolato da accordi politici preventivi, soprattutto da improponibili “larghe intese” con la destra berlusconiana.
Dunque mi pare arbitrario ed immotivato intravedere nella ricerca di una candidatura condivisa per il Quirinale l’anticamera del “grande inciucio”. Né ho sentito agitarsi venti di rivolta quando Bersani, solo qualche giorno fa, parlava di “doppio binario”. D’altra parte altri interlocutori significativi e utili in questo Parlamento non ci sono, visto l’atteggiamento irresponsabile al limite della demenza dei “grillini”.
Il vero errore, lo ribadisco, è stato pensare che a ciò bastasse una candidatura tutto sommato piuttosto sbiadita, e dal sapore marcatamente retrò come quella di Franco Marini.
A conferma di questa valutazione complessiva mi pare torni utile una simulazione che -ne sono consapevole- attiene alle ipotesi della irrealtà, ma che voglio esplicitare per utilità dialettica. Pur in un Parlamento composto come sappiamo, dopo un voto tanto carico di ambiguità, ai primi due appuntamenti cruciali -l’elezione dei Presidenti di Camera e Senato- la sinistra è stata capace di affermare soluzioni di grande prestigio e autorevolezza. Se per il Quirinale si fosse riusciti ad acquisire l’elezione di una personalità di chiara matrice democratica e progressista, anche la prospettiva di un “governo del cambiamento” si sarebbe rafforzata, e non viceversa. Contrastare l’ipotesi di “governissimo”, qualora si fosse affacciata, sarebbe stato comunque necessario e possibile, come necessario continua ad essere per il futuro, chiunque siederà al Colle -si spera- dalle prossime ore.
Non ci sorprende oggi la complessità della fase politica, e la difficoltà per la sinistra di riuscire ad affermare soluzioni utili; ne siamo consapevoli dall’indomani del risultato elettorale. Oggi abbiamo un problema in più: la crisi in cui è precipitato il PD.
C’è molto da riflettere per il gruppo dirigente del partito, ma anche per tutti noi, militanti e attivisti.

 

    

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