Il Cavallo di Letta e gli intellettuali

L’offensiva del premier Enrico Letta in materia di riforme costituzionali e istituzionali è riuscita finalmente a far sollevare parte del mondo intellettuale nazionale, finora sembrato sufficientemente sonnacchioso nei confronti della vita politica.

Si sa, gli intellettuali italiani sono abituati ad occuparsi quotidianamente di ben altro. Poi, però, in tv, nei talk show, sui giornali, si esercitano in violente filippiche sulla classe politica fannullona, e sul Parlamento immobile e incapace di produrre riforme significative. Poi, però, quando la classe politica, e il Parlamento, danno notevoli segni vitali, lanciando nel dibattito pubblico proposte e progetti di legge, ecco che quel mondo intellettuale grida allo scandalo. Con questo primo articolo intendiamo gettare una pietra nello stagno del dibattito pubblico. Proseguiremo nei giorni prossimi e nelle settimane prossime ad aprire quanto più possibile il campo dei soggetti che vogliano esprimersi sulla qualità della nostra Repubblica e sul senso delle riforme allo studio.

La mossa del Cavallo operata da Enrico Letta è dunque la seguente: da decenni si indica la necessità, per l’Italia, di una seria e rigorosa riforma del sistema istituzionale, parlamentare e di governo sancito dalla Costituzione del 1948. Dalla Commissione Bozzi alla Commissione Iotti fino alla Bicamerale presieduta da D’Alema, nell’ormai lontano 1997, i tentativi parlamentari di escogitare una forma diversa dei poteri della Repubblica si sono arenati dinanzi alle difficoltà delle forze politiche di trovare una sintesi. Tuttavia, proprio questi tentativi ripetuti nel corso di 40 anni di vita parlamentare sono la cifra della necessità di un cambiamento, neppure tanto radicale, ma soft e condiviso, della seconda parte della Costituzione. Le questioni sul tappeto sono sempre le medesime: il bicameralismo perfetto, il numero dei parlamentari, i poteri del Presidente della Repubblica e del presidente del Consiglio, la necessità di istituire checks and balances, pesi e contrappesi, la riflessione sulle autonomie locali e sui poteri delle Regioni. Insomma, da quarant’anni, l’architettura istituzionale della prima Repubblica (ancora in vigore) è oggetto di studio, di analisi, e di proposte di riform 

Il ruolo di 35 personalità del mondo accademico  che affiancano le Commissioni

Ora, cos’ha fatto Enrico Letta? In virtù di questa storia quarantennale, ha assunto l’iniziativa, anche sollecitato dal Capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Ha chiamato, cioè, 35 personalità del mondo accademico e politico per affiancare il lavoro delle Commissioni parlamentari che si occupano di Riforme costituzionali. Ha fatto bene? Ha fatto male? Sospendiamo, per ora il giudizio, in attesa del progetto di riforma suscitato dall’istruttoria che personalità accademiche e parlamentari riusciranno a concludere nei tempi previsti dal decreto legge. Ma che c’entrano gli intellettuali? C’entrano, eccome. Perchè uno dei temi da dibattere e affrontare è il più spinoso di tutti: trasformare il sistema parlamentare italiano in un sistema semipresidenziale sul modello francese, oppure in una sorta di Cancellierato forte sul modello tedesco? O piuttosto, privilegiare il modello Westminster? Si tratta di sistemi istituzionali differenti, nati in contesti storici e politici diversi, da tradizioni, anche filosofiche e giuridiche, differenti. Di nessuno, però, si può dire che sia un sistema neoautoritario. Si commetterebbe un errore madornale, a voler giudicare così ciascuno di quei sistemi.

Il premier ha giocato di anticipo come nel gioco degli Scacchi

Dunque, come si fa col Cavallo negli Scacchi, il premier Letta ha giocato d’anticipo e ha imposto che il dibattito pubblico si occupasse nuovamente della necessità di discutere di un nuovo impianto istituzionale da inserire nella seconda parte della Costituzione. Sarà uno scacco matto? Sarà stallo? Si perderà la partita? Non possiamo prevederlo. Ma salutiamo con piacere l’inizio di un dibattito che esce dalle accademie ed entra perentoriamente nell’agenda delle forze politiche.Ma  che c’entrano gli intellettuali? C’entrano, eccome. Come di solito accade in Italia quando si tratta di riformare perfino la spesa del condominio, magari razionalizzandola, ecco che un segmento del mondo intellettuale – di solito molto sobrio ed estremamente autorevole – si erge per produrre la più grande delle questioni: la legittimazione. In questi giorni, ne abbiamo letti tanti di peana di editorialisti e intellettuali contro questo Parlamento, e questo governo, che sono “delegittimati” a toccare, riformandola, la Costituzione. E perchè? Perchè c’è Silvio Berlusconi, e fino a quando lui e la sua forza politica siederanno in Parlamento, non sarà possibile nemmeno immaginare il dibattito pubblico, figuriamoci le riforme. La grande anomalia nazionale – secondo questi intellettuali – del tycoon sceso in politica per tutelare i suoi interessi blocca qualunque processo di riforma istituzionale e costituzionale. Perciò, il Parlamento, questo Parlamento e ogni altro Parlamento, è delegittimato finché capo di una coalizione sarà Berlusconi. Dunque, si metta fine al dibattito pubblico tra le forze politiche e democratiche sulle questioni istituzionali, e il governo si occupi di ben altre attività. Il rischio, secondo questi intellettuali, è la deriva plebiscitaria. 

Introdurre nelle scuole superiori il Diritto costituzionale

Si può, per una volta esprimere un legittimo dissenso da posizioni rese note da intellettuali pur di enorme prestigio e autorevolezza? Chi può dare licenza di legittimità al dibattito pubblico, e alle posizioni che si esprimono pubblicamente? Pensare che in Italia la questione se sia legittimo o meno intervenire con una riforma per modificare la Costituzione è materia di pochi eletti, non è altrettanto pericoloso? Ogni riforma della Costituzione interviene su un tessuto delicatissimo, politico e istituzionale, e va fatta con cura estrema. Lo sappiamo. Ma sappiamo anche che le riforme costituzionali durano ben oltre la generazione che le ha scritte, e si rivolgono a quelle successive. Le quali pertanto devono poter partecipare al dibattito pubblico, perché della loro vita futura si tratta, dal momento che sistema costituzionale, sistema giuridico e sistema economico sono connessi in maniera inestricabile. Non sarebbe rivoluzionario, ad esempio, proporre che nel prossimo anno scolastico, fin da settembre, si riesca a dedicare in tutte le scuole superiori un’ora a settimana, di Diritto Costituzionale per preparare le nuove generazioni al dibattito pubblico sulle riforme?  In fondo, se prefiguriamo una nuova forma di Repubblica è a loro che dobbiamo pensare. O no?

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