Marchionne, una catena di arroganza e Fiat ridotta a un ferro vecchio

ROMA – Sono davvero indecenti le reazioni al garbato rifiuto da parte di Laura Boldrini dell’invito rivoltole da Marchionne a visitare lo stabilimento di Val di Sangro. Lasciamo stare le sguaiate dichiarazioni di Brunetta che, in nome della correttezza istituzionale, ritiene che la presidenza della Camera debba farsi garante delle larghe intese (cioè di una maggioranza politica) e non di tutto il Parlamento.

E lasciamo stare anche i toni da maestrina dell’on. Muchetti, che evidentemente ha scambiato la Camera dei Deputati per la redazione del “Corriere della Sera”, dove si è soliti dare un colpo al cerchio e uno alla botte. Ma quello che sconcerta è che, ad eccezione di Sel, nessun’altra forza politica presente in Parlamento, o membro del governo, ha sentito il dovere di esprimere la sua solidarietà alla Presidente della Camera. Nemmeno il Movimento 5Stelle si è, questa volta, agitato più di tanto.

Eppure che quella di Marchionne fosse una trappola, non ci vuole un grande acume per comprenderlo. Al condottiero unico di Fiat non era andato giù l’incontro tra la Boldrini e la delegazione dei lavoratori della Fiom. E non gli era parso vero di inscenare, a uso e consumo della Presidente della Camera, una vera e propria rappresentazione teatrale su quanto i dipendenti Fiat fossero in tripudio per l’impresa e per chi la guida. Del resto è quello che aveva fatto con la visita di Monti a Melfi alla fine dello scorso anno. Solo che allora il presidente del Consiglio fu ben lieto di recitare la sua parte in commedia.

E’ davvero deprimente constatare la sudditanza, innanzitutto psicologica, di gran parte del ceto politico alle prodezze di Marchionne, ora che anche Giorgio Airaudo – deputato di Sel e sino a ieri tra i massimi dirigenti di quel sindacato – scopre che nella Fiom si annidano pericolosi estremisti. Verrebbe da dire: perché non ha provveduto prima a debellarli?

Insomma, che cosa deve accadere di più per mandare Marchionne a quel paese? I dati di vendita della Fiat sono tra i peggiori dell’intero settore dell’auto, almeno in Europa. Al tentativo incerto di stare sul mercato globale, rappresentato dall’operazione Chrysler, è stata sacrificata l’industria dell’auto in Italia. E quando fu lanciato il progetto “Fabbrica Italia”, oggi miseramente ridotto al nulla, nel tripudio della maggior parte del ceto politico, a nessuno venne in mente di sollevare anche un piccolo dubbio sul fatto che alle spalle del roboante comunicato stampa a firma Marchionne e Elkann non ci fosse uno straccio di piano industriale a disposizione dell’opinione pubblica del Paese.

E che dire poi dell’uscita da Confindustria, atto di sfiducia e di disprezzo innanzitutto per gli imprenditori italiani? E del dispregio dei tribunali e delle leggi nel caso del mancato reintegro sul posto di lavoro degli operai di Melfi, Barozzino, Lamorte e Pignatelli? E delle offese alla Costituzione, come l’ultima sentenza della Corte dimostra? E quelle alla Chiesa mettendo al bando il vescovo di Nola che aveva solidarizzato con gli operai di Pomigliano?

E in questa situazione, il ministro per lo Sviluppo economico, Flavio Zanonato, confessa che non può adire alla richiesta della Fiom di convocare La Fiat a un tavolo governativo per verificare le politiche industriali del gruppo torinese, per la semplice ragione che quest’ultimo ignora le convocazioni del governo. E scopre in questi giorni che intanto Mirafiori è ridotta a un ferro vecchio nel silenzio pressoché generale.

Ma se le cose stanno così perché Laura Boldrini sarebbe dovuta andare in Val di Sangro? E che cosa bisogna aspettare perché qualcuno inizi a pensare a come mettere fine al monopolio Fiat nel settore dell’auto in Italia? Muchetti in proposito a qualcosa da dire?

Piero Di Siena

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