G8 Diaz. I colpevoli finalmente scontano la pena, ma sono ancora cavalieri emeriti

ROMA – Deve essergli andato lo spumante di traverso ai superpoliziotti consegnati a fine anno agli arresti domiciliari, dove dovranno trascorrere il fine pena che residua dopo gli sconti dei quali hanno potuto godere. Sembra quindi giungere a conclusione la orrenda vicenda Diaz. Verrebbe da dire che il 2013 ha segnato un elemento di positività, che il ’14 potrebbe iniziare meglio, ma è impossibile non osservare che per arrivare alla applicazione delle condanne definitive di una delle più sporche esibizioni dei massimi vertici della polizia ci sono voluti dodici anni e mezzo.

Troppi davvero. Certo, non va dimenticato che le pene, ridotte al minimo come succede raramente, sono state accompagnate dal fatto rilevante della interdizione per cinque anni dai pubblici uffici, cosa che ha determinato l’abbandono da parte dei condannati di tutti i più alti incarichi ai quali erano stati destinati con promozioni che sarebbe sconveniente definire soltanto imbarazzanti, intervenute dopo i reati commessi alla Diaz e anche dopo le prime condanne in appello.

Vale sempre la candela ricordare che le condanne che hanno colpito Gratteri, Luperi, Calderozzi, Canterini e via elencando non sono riferibili a comportamenti inerenti alla macelleria messicana, come definì il massacro uno degli attori, il vicequestore Michelangelo Fournier, che ebbe un ravvedimento sette anni dopo i fatti (fino ad allora neanche una piega del labbro rispetto alla definizione corrente di “perquisizione legittima”). No, il gravissimo reato commesso, tale da provocare “il degrado dell’onore dell’Italia nel mondo”  (anche in questo caso è sempre opportuno citare la frase della Cassazione che accompagna la sentenza definitiva), è il falso, avere cioè ordinato a sottoposti di introdurre nella scuola le due famose bottiglie di vino dei colli piacentini trasformate in molotov. Cosa che avrebbe comportato in base alla legislazione vigente l’accusa di terrorismo per tutti gli occupanti la scuola e la conseguente condanna a un minimo di quattordici anni di carcere. 

Non posso non provare rabbia per il fatto che la prova regina di questo falso risieda in un filmato di pochi secondi, a lungo introvabile e poi fortunatamente rintracciato e recuperato, che mostra tutto il gruppo di comando che si gingilla fuori della scuola con il sacchetto di plastica blu contenente le molotov, prima della decisione di farle introdurre nella palestra. Rabbia perché centinaia di fotografie, filmati in quantità, testimonianze, telefonate registrate non hanno smosso la decisione di un pubblico ministero e di una giudice per le indagini preliminari di archiviare l’omicidio di Carlo e impedire quindi che un processo, un dibattimento, un confronto basato sulla documentazione potessero arrivare alla verità, smentire l’incredibile imbroglio di quattro squallidi consulenti (lo sparo per aria e la deviazione da parte di un calcinaccio che vola), punire duramente la violenza su Carlo moribondo (un carabiniere gli spacca la fronte con una pietrata per provare a mettere in piedi il depistaggio), accertare le reali responsabilità del gruppo di comando e quindi dello Stato.

Sembra che, a tutt’oggi, i condannati conservino ancora i titoli di cavalieri emeriti, il che fa sorgere l’interrogativo angosciante che in Italia, per essere cavalieri emeriti della Repubblica, sia necessario degradarne l’onore nel mondo! Speriamo che il Presidente se ne accorga e vi ponga rimedio.

Una nota positiva per gli attivisti NoTav della Valsusa: è agli arresti domiciliari anche Spartaco Mortola, già capo della Digos genovese durante il G8, poi vice questore a Torino e successivamente, forse anche in virtù della repressione a carico dei valsusini, capo della Polfer piemontese. Le promozioni non le gestisce più De Gennaro, duramente impegnato come anomalo presidente di Finmeccanica a gestire gli F35, ed è quindi sperabile che ad assumere quell’incarico arrivi un autentico servitore dello Stato.

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