“Pubblico” l’ossessione dei neoliberisti pronti a vendere il patrimonio della collettività

ROMA – Le  aziende che gestiscono servizi pubblici  sono da sempre nel mirino di chi vuole abbatterle, venderle per far soldi. Sarebbe necessario unj confronto reale, un dibattito. Invece siamo ormai al ridicolo cui si prestano anche cosiddetti  “esperti”.

  Da una parte alcuni parlano malevolmente di “socialismo reale dei comuni”, dall’altra di “capitalismo municipale”. Fuori dai pregiudizi, proviamo a riportare la discussione al nocciolo della questione. Tali aziende hanno origini lontane,addirittura dall’ Età dei Comuni,sono  la risposta che le  Comunità di tante città hanno dato all’insorgere di tanti bisogni e insieme a tanti problemi di lavoro e  di occupazione,sono in definitiva Proprietà Sociale ,  parte essenziale dell’assetto sociale del Paese. A Roma l’esperienza del sindaco Nathan resta memorabile. Il tempo ,nel suo scorrere,può sedimentare anche qualche detrito su tale patrimonio:attualizzarne permanentemente l’ispirazione,aggiornarne  il funzionamento deve essere il nostro compito quotidiano Non la privatizzazione.

Le aziende con   “ obbligo di servizio pubblico”

“Insieme all’austerità, come condizione per un assetto più giusto ed efficiente dell’economia e della società, bisogna introdurre ‘elementi di socialismo’” sosteneva già nel 1976 il PCI di Berlinguer. Prendiamo, ad esempio, le Aziende che gestiscono i servizi di trasporto: non a caso il legislatore ha individuato la categoria di “obbligo di servizio pubblico”, cioè si è riconosciuto che una determinata quantità di trasporto deve avere il carattere di pubblico e accessibile. Il motivo è abbastanza chiaro: la mobilità è fattore e incubatore di inclusione sociale, sia per le aree metropolitane che per i territori regionali. Di più: sono portatori di sviluppo, innovazione, ricerca, oltre che di occupazione.

Allora la questione è come questo fattore e obbligo pubblico deve essere gestito e da chi. La liberalizzazione delle regole può aiutare ad aumentare qualità ed efficienza del servizio. Non sono convinto che la stessa cosa accadrebbe o accadrà con la privatizzazione. Lo dimostrano molte esperienze europee. 

I privatizzatori non hanno fondati argomenti

Nessun argomento portato dai privatizzatori ha fondamenta reali e concrete, tutte partono dalla demonizzazione dell’esistente “pubblico” per sostenere che privato è meglio. Con diverse sfumature siamo in presenza dell’applicazione di un dogma, che tra le altre cose ci ha portato nella più grande crisi economica e sociale che il mondo abbia attraversato da un secolo a questa parte . Il privato che fa il privato persegue profitti e interessi particolari e questa sua natura si mostrerebbe inevitabilmente anche nella gestione di un “obbligo di servizio pubblico” .Non voglio difendere indiscriminatamente tutte le gestioni pubbliche dei servizi di cittadinanza, e in particolare di quelle dei trasporti. Chiedo però che sia data al “pubblico” una vera occasione, anche in un sistema di regole liberalizzate, di razionalizzare ed efficientare, cioè di ristrutturare per ristabilire la vera ragione e natura di una azienda pubblica che gestisce i servizi pubblici nell’interesse generale e collettivo. La responsabilità della condizione gestionale economica e finanziaria delle aziende di trasporto non può ricadere solo sui comuni o le regioni. Oggi il 55% delle Aziende del trasporto pubblico locale chiudono il 2013 in perdita e da 15 anni c’è stato un costante e progressivo taglio delle risorse. Il processo di riforma del Decreto 422 del 97 è stato interrotto e alterato. 

Occorre un processo di risanamento , non una controriforma

Oggi si sente parlare di riforma del Decreto 422: spero vivamente che sia una riforma della riforma utile a riavviare il processo di risanamento del settore trasporti, e non una controriforma che, aggirando la sentenza della Corte Costituzionale, riapra un orizzonte di privatizzazione. Una scelta di privatizzazione, di revisione dell’articolazione dei servizi, di riconsiderazione degli obblighi di servizio pubblico, di alleggerimento e condizionamento della clausola sociale, insomma di disarticolazione e ri-articolazione del 422 produrrebbe l’effetto di rendere “acquistabili” aziende pubbliche oggi in crisi, senza benefici economici per le proprietà, per i lavoratori e, come dimostrato da esperienze europee, con un peggioramento dei servizi per i cittadini. “Pubblico” non può essere una scelta non ragionata e deve prevedere la responsabilità di costruire aziende competitive. Ma “pubblico” non può essere considerato il male assoluto, l’ossessione acritica di neoliberisti che rispetto alle obiezioni dei lavoratori, dei cittadini, dei giuristi e dei comuni, si comportano come le tre scimmie: non sentono, non vedono, non parlano e intanto si preparano a votare per vendere il patrimonio collettivo. 

 

 

 

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