Ilaria e Miran, la dignità del giornalismo

ROMA – Ilaria e Miran, vent’anni dopo. Da allora, è cambiato tutto è niente. È cambiato tutto in Italia, ci mancherebbe altro, e naturalmente in peggio, come abbiamo testimoniato e descritto con rabbia innumerevoli volte. Ma, in realtà, non è cambiato niente perché siamo sempre lì: agli scandali, ai documenti secretati, alla violenza del silenzio e all’omertà della paura, alle vicende che non si devono conoscere e alle storie che non si devono sapere, alla verità che spaventa e, dunque, va insabbiata, nascosta, negata, al puzzo fetido del compromesso al ribasso e senza dignità, alla volgarità delle menzogne e dei depistaggi, alla perdita di identità nazionale e del senso e del valore stesso della Nazione.

Questo è successo negli ultimi vent’anni. Ed è proprio qui, davanti a questo muro di negazioni e falsità, di fronte a questo filo spinato di impenetrabili segreti, che ci domandiamo umilmente quanto sarebbe stato utile il lavoro di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, barbaramente assassinati a Mogadiscio il 20 marzo 1994 mentre stavano indagando su un traffico internazionale di armi e rifiuti tossici nel quale, evidentemente, erano coinvolti interessi e persone che non potevano permettersi di essere smascherati dalla serietà di un giornalismo coraggioso che aveva deciso di svolgere, una volta tanto, il proprio dovere fino in fondo.

Ricordando Ilaria e Miran a vent’anni dalla scomparsa ci assale la seguente domanda: su quanti segreti, su quanta polvere, su quante maschere di un potere all’apparenza irreprensibile e, in realtà, feroce, spietato, devastante si fonda la nostra storia recente? Cosa è accaduto di preciso in questi due decenni?

E ci assale l’idea, a pensarci bene desolante, che se cronisti seri come Ilaria e Miran avessero potuto raccontare tutto ciò che avevano scoperto, forse, molte cose sarebbero andate diversamente, e oggi vivremmo in un Paese meno sporco, meno corrotto, meno indebitato, con una politica meno screditata e delle istituzioni più trasparenti, con un giornalismo capace di scavare in profondità e guardarsi intorno, di scandagliare ogni singolo dettaglio e non solo di fermarsi in superficie, di sbirciare dal buco della serratura, di lasciarsi andare al gossip e a una pseudo-informazione mista a intrattenimento che nulla ha a che vedere con la funzione sociale e civile di un mestiere tanto affascinante quanto complesso e delicato.

Perché Ilaria e Miran sono stati uccisi in Somalia non si è ancora ben capito da chi ma sicuramente si è capito perché: perché sapevano troppo, certo, perché non erano disposti a tacere e mentire, altrettanto certo, ma anche perché la loro stessa immagine di pulizia, passione, impegno, ardore professionale finalizzato all’arricchimento collettivo e alla costruzione di una società più giusta ed informata costituivano uno smacco intollerabile per quel potere oscuro ed invisibile che, al contrario, ha bisogno di un’informazione finta, servile, corruttibile, inesistente o comunque manipolata, abile a nascondere e non far capire nulla, a spezzare i legami logici, a massacrare chiunque osi alzare la voce contro la cappa del conformismo e del pensiero unico; in poche parole, di una non-informazione che è ciò cui troppe volte abbiamo assistito nel lasso di tempo che separa quella tragedia da questi giorni dedicati al ricordo e alla celebrazione.

Ilaria e Miran rappresentavano un esempio e i mandanti dell’omicidio, tuttora avvolti dalle tenebre e, temiamo, da una fittissima rete di connivenze e complicità a vari livelli, lo sapevano molto bene. Per questo hanno pagato con la vita il prezzo dei loro ideali, la loro volontà di scoprire e raccontare, il loro rifiuto dell’apparenza, la loro ferma contrarietà agli idoli del potere per il potere e del denaro per il denaro che si stavano affermando in quegli anni di liberismo rampante e dell’apoteosi della “società liquida” e senza punti di riferimento.

Chi li ha messi a tacere per sempre sapeva che avrebbero combattuto a testa alta in quell’occasione e con ancor più tenacia in seguito, e forse aveva più paura dello stile, del metodo e della determinazione che delle rivelazioni, a quanto pare enormi, in sé.

Ilaria e Miran, due date e in mezzo lo spazio di come siamo diventati: il deserto del nostro degrado e la nostra volontà, per fortuna mai sopita, di ricominciare.

 

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