Ucraina Russia. Una “guerra calda” non conviene a nessuno

ROMA – Non ci resta che attendere il vertice che inizierà oggi a Bruxelles per conoscere l’esito della delicatissima vicenda ucraina. Tuttavia, fin da ora possiamo azzardare alcuni pronostici. 

Con ogni probabilità, al netto dei proclami, degli strepiti e delle imprecazioni provenienti da più parti, alla fine Obama e Putin troveranno un accordo, e la ragione è molto semplice: conviene a entrambi. Obama, infatti, si è impegnato più volte a chiudere, o comunque a circoscrivere, tutti i fronti aperti dal suo guerrafondaio predecessore e, dunque, non può permettersi di impelagarsi in un conflitto da guerra fredda con una nazione in ascesa e ricca di interessi in Occidente quale la Russia. Putin, dal canto suo, proprio per gli stretti rapporti di complicità e connivenza con gli oligarchi che lo sorreggono al potere, non ha alcun interesse ad esporre la Russia a sanzioni eccessive né, tanto meno, a mettere a repentaglio affari lucrosi destinati a tornargli a favore sotto forma di finanziamenti e consensi elettorali. Pertanto, sia pur facendo reciprocamente la voce grossa e fingendo di accapigliarsi in pubblico, in privato troveranno un compromesso che, grosso modo, si baserà sull’annessione della Crimea alla Russia e sull’indipendenza dell’Ucraina da Mosca, in cambio del divieto formale di ingresso tanto nella NATO quanto, probabilmente, nell’Unione Europea.

Se ciò dovesse accadere, a rimetterci sarebbe, ancora una volta, l’Europa che sconterebbe non solo la sua assenza sulla scena internazionale e la sua incapacità di fronteggiare un conflitto esploso al proprio interno ma anche la sua assoluta mancanza di abilità diplomatica nel rendersi attrattiva agli occhi di un popolo che, almeno a ovest, sarebbe pure animato da sinceri ideali europeisti ma vorrebbe ricevere in cambio una mano tesa e un pacchetto di aiuti economici e non solo chiacchiere e accorate dichiarazioni di condanna delle violenze e della repressione in atto contro i manifestanti di piazza Majdan.

Perché una cosa è certa: l’Ucraina è un paese allo sbando, con un’instabilità politica mostruosa e una situazione economica allo stremo; ha, dunque, urgente bisogno di soldi e risorse energetiche a buon mercato che la Russia è in grado di garantirle e l’Europa no, in parte per un’oggettiva carenza e in parte per il barbaro egoismo che caratterizza quasi tutte le pseudo-leadership del Vecchio Continente.

Al che si pone il dilemma sul che fare: seguire la politica muscolare e sanzionatoria dell’amministrazione Obama oppure tentare, a nostra volta, un compromesso con lo zar del Cremlino? Il vero, atroce rischio è che l’Europa tenti di giocare su entrambi i tavoli, senza rendersi conto che si tratta di partite complesse e opposte, dalle quali è destinata comunque a uscire sconfitta ma bisogna vedere come. Perché, se al vertice di Bruxelles dovesse passare la linea dura dell’appoggio incondizionato alla linea statunitense, rischieremmo seriamente di assistere al tracollo delle nostre economie, dato che nessun paese europeo, e tanto meno l’Italia, può rinunciare ai capitali freschi provenienti dagli investitori russi. A tal proposito, è illuminante il titolo di “pagina 99” di martedì scorso: “Affari e sanzioni, l’Europa a due facce” e ancor più l’articolo che segue, nel quale si apprende che “la settimana scorsa era stata l’Italiana Saipem (ENI) a firmare un maxi accordo con Gazprom per la costruzione del gasdotto Sout Stream (un progetto esplicitamente anti-ucraio, tra l’altro); ieri è stata la volta di Pirelli ad annunciare l’ingresso come socio maggioritario del colosso petrolifero Rosneft (avrà il 13%), mentre la tedesca RWE cedeva il suo ramo gas-petrolifero, con depositi e tubi in tutta la Germania e con centonovanta concessioni di sfruttamento in quattordici paesi, al potentissimo Alfa Group”.

Se, al contrario, i governi dovessero subire le fortissime pressioni delle lobbies e cedere  sotto il peso della realpolitik, il nostro approvvigionamento energetico e un bel po’ di posti di lavoro sarebbero momentaneamente salvi ma perderemmo la faccia tanto di fronte agli Stati Uniti quanto in sede ONU dove non avremmo più alcuna credibilità per rivendicare sanzioni e altre misure punitive nei confronti di un regime con il quale siamo soliti condurre lauti affari, senza minimamente porci il problema dei diritti umani calpestati.

Siamo, quindi, ad un bivio: il denaro o le persone? Il realismo politico dei vertici della finanza e dell’industria o i sogni e le speranza della folla di piazza Majdan? In ogni caso, l’Unione Europea è destinata a rimetterci, e questo è il prezzo amaro che si paga quando non si ha una politica estera comune, quando non si ha un orizzonte e una direzione di marcia condivisa, quando non si è in grado di creare un’unione politica capace di controbilanciare tanto il blocco di potere russo da un lato e americano dall’altro quanto di porre un argine al liberismo dilagante e allo strapotere di gruppi d’interesse cui della dignità degli esseri umani e del loro avvenire importa meno di zero.

Qualunque decisione venga presa, l’Europa è destinata a rimediare una figuraccia, a causa della propria indolenza, recitando la ridicola parte della squadra che rimane in tribuna pur giocando sul terreno di casa.

 

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