Trattativa Stato Mafia, vecchi e nuovi misteri

ROMA – Chi, come chi scrive, da troppo tempo legge documenti negli archivi pubblici e privati(come quello, straordinario, dell’ami co Giuseppe Casarrubea a Partinico) non può essere stupito di quello che l’ex ministro Vincenzo Scotti ha detto ieri  al processo sulla trattativa di Palermo che si sta lentamente dipanando tra i giudici, attenti a quel che depongono i testimoni, e di fronte a un’opinione pubblica che sembra in tutte altre faccende affaccendata.

Le faccende che- a quanto pare- prendono di più  gli italiani in queste settimane sono facili da ricordare. La prima riguarda la durata del governo Renzi e le alleanze che il maggior partito del centro-sinistra intratterrà, o sarà spinto a intrattenere. Il cosiddetto patto del Nazareno, concluso qualche mese fa tra il presidente del Consiglio e l’uomo di Arcore, reggerà o cederà il posto alle offerte-sempre da verificare, questo è naturale-con l’ex comico genovese e leader del movimento che solo poco di più di un anno fa, ha strappato il maggior numero di voti agli elettori, alla Camera dei deputati? Alla domanda non è facile rispondere  per più di una ragione: la prima è che i grillini sono nati e cresciuti come forza di opposizione al sistema  per usare il linguaggio che loro stessi usano.  La seconda è che, dai primi approcci, ricordando anche lo sfortunato incontro di qualche mese fa tra le delegazioni dei due partiti, i trascorsi non sono per nulla incoraggianti.

Né le prime ipotesi della mediazione necessaria per arrivare a una legge elettorale che non si allontani troppo né dall’Italicum nè  dal Democratello (i nomi dei due progetti fanno pensare al linguaggio del populismo ancora trionfante più che ad altro !)sono  per ora incoraggianti. Si tratta, lasciatemelo dire, di due disegni che in ogni caso  mostrano concezioni politiche molto lontane e difficili da conciliare. E, dunque a meno di miracoli di fede, difficili da accettare da parte di chi ha una concezione laica della politica, è possibile che si arrivi a un accomodamento del genere :ciascuno sta per conto suo anche se non ci sono pregiudiziali come una volta. Una simile conclusione avrebbe il vantaggio di non chiudere con un nulla di fatto ma, nello stesso tempo, lascerebbe i due partiti  liberi di comportarsi con assoluta libertà l’uno nei confronti dell’altro. E questo, in tempi come questi, in cui la tattica vince di gran lunga sulla strategia e vocaboli come quel li che ho evocato(che richiamerebbe  Gramsci e persino Machiavelli sono propri di vecchi professori e non di politici di assalto!) sono assolutamente fuori moda o addirittura proibiti.

Per tornare alla deposizione dell’ex ministro Scotti, destituito da ministro dal solito presidente Andreotti il 28 giugno 1992, un mese appena dopo la strage di Capaci (uno stralcio della deposizione resa il 20 marzo 1992 davanti alla commissione Affari Costituzionali della Camera, è stato citato in aula dal pubblico ministero Di Matteo), l’ex ministro ha parlato dell’allarme che aveva espresso in più occasione dalla sua carica di ministro dell’Interno. “Nascondere ai cittadini che siamo di fronte a un tentativo di destabilizzazione  delle istituzioni è un errore gravissimo. Ho detto che l’allarme sociale è altissimo e la gente deve sapere queste cose. E il 21 giugno  1992, meno di un mese dopo Capaci ed   esattamente una settimana prima di essere improvvisamente sostituito ,lo stesso Scotti aveva dichiarato al giornalista D’Avanzo di Repubblica dicendo di esser pronto alle dimissioni :” Sono convinto e lo vado ripetendo da mesi che il calvario non è finito, che la mafia colpirà ancora e colpirà tanto più in alto quanto più efficace diventerà l’azione dello Stato….Nessuno può pensare dinanzi alla guerra che bisogna scatenare contro la mafia, di lavarsi pilatescamente le mani.”   Ma quale era la posta della trattativa in corso in quei mesi tra uomini dello Stato e lo stato maggiore di Totò Riina. E’ ormai chiaro che il succo degli incontri era legato all’applicazione dell’articolo 41 bis che vieta qualsiasi contatto dei mafiosi in regime speciale in carcere con l’esterno.

E non è un caso, a mio avviso, che. quando il decreto sulla nuova misura venne definitivamente approvato il 7 agosto 1992, e-come qualcuno ricorderà, nella notte del 19 luglio 1992 decine di boss mafiosi vennero prelevati dalle celle dell’Ucciardone e di altre  carceri siciliani per essere portati nelle supercarceri di Pianosa e dell’Asinara. D’altra parte, alcuni mesi fa, non più ministri né Scotti all’Interno  né Martelli alla Giustizia bensì Mancino all’Interno e Conso alla Giustizia la mancata e inatte sa, oltre che ingiustificata, proroga del 41 bis ad altrettanti boss mafiosi firmata da Conso, ne permise, sia pure per poco, la liberazione. Proprio il seguito degli avvenimenti conferma, dunque, che proprio quei provvedimenti speciali siano stati all’interno della trattativa.  La lezione è amara e a chi occupa incarichi politici, o aspira ad averne, è soltanto il caso di ricordare che la nostra Costituzione non prevede in nessun accordi con Cosa Nostra e con le sue potenti alleati a cominciare dalla Ndrangheta e dalla Camorra campana. Ovvio ma non inutile dopo quello che abbiamo già vissuto.     

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