Giornalisti, corsi di formazione. C’è già chi fiuta grossi affari

ROMA – “Il Fatto quotidiano” ha messo il dito sulla piaga dei corsi di formazione professionale continua per i giornalisti. Come era prevedibile, si è andato scatenando su un campo tutto da arare l’intero universo dei più intrecciati interessi economici ed editoriali, fiutando grossi affari intorno agli obblighi dei 120mila giornalisti iscritti all’Ordine.

Anche alla luce delle raccomandazioni dell’Unione europea (più concorrenza sulla formazione), legge e decreti ministeriali, in particolare il DPR 137/2012, stabiliscono i principi ispiratori del legislatore su indirizzi, contenuti ecc (mai parlano di coordinamento da affidare agli Ordini professionali), e non prevedono le regole sia nel rispetto della libertà di impresa sia nell’attesa delle riforme ordinistiche di là da venire, e che, peraltro, dovranno assicurare la più ampia liberalizzazione delle professioni. 

Nel regolamento dei corsi redatto dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, e  pubblicato per dovere di ospitalità sul bollettino del ministero di Giustizia, non si richiamano i dispositivi dei decreti, bensì l’art. 20 comma b dell’ultracinquantenne legge sull’Ordine con una evidente forzatura interpretativa.

Nessun altro ordine professionale  coordina la formazione continua dei propri iscritti per ovvie ragioni di garanzia per i cittadini. Per i medici se ne occupa direttamente il ministero della Sanità, mentre per gli avvocati il coordinamento e gli indirizzi dei corsi sono affidati al Consiglio nazionale forense.

Se l’Ordine, disarmato per legge della sua funzione deontologica principale ragione della sua esistenza, cerca di mantenersi comunque un posto al sole promuovendo o organizzando centinaia di corsi, il sindacato dei giornalisti, la FNSI, avendo responsabilità di tutela sul lavoro giornalistico, non può fingere di nulla chiudendo un occhio o magari due sull’andamento della formazione dei suoi tutelati.

 

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