Doppio cognome. Dove si colloca il diritto del minore?

ROMA – Non più solo il cognome del padre per i figli nati fuori e dentro il matrimonio, ma la possibilità di scelta, da parte dei genitori, di attribuire quello della madre, del padre, o entrambi in caso di disaccordo da scegliere secondo un criterio alfabetico.

Certamente una conquista di progresso del nostro ordinamento e della nostra struttura sociale rispetto ad alcune norme  e consuetudini del diritto di famiglia che permettono finalmente di allineare la legislazione italiana a quella di altri Paesi vicini e cugini. Non solo, ma in questo modo si rispettano le prescrizioni e le condanne da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo  e della stessa Corte Costituzionale che più volte hanno dichiarato le disposizioni vigenti contrarie ai principi fondamentali sovraordinati. 

Il diritto al nome delle persone (e anche delle cose, in tal senso si pensi a tutta la legislazione sulla protezione dei marchi di impresa) è uno di quelli fortemente tutelati dal legislatore proprio perché ha a che fare con l’identità di ciascuno, diversa da quella dei soggetti estranei al nucleo familiare  tanto che sono molteplici gli strumenti forniti dalla legge per consentire, al suo legittimo titolare, di proteggersi da un uso improprio o contrario alle prescrizioni normative. La particolarità, non a tutti nota, è che l’automatica attribuzione del cognome del padre non era contenuta in una norma dettata dal legislatore, ma il frutto di una consuetudine normativa fondata, naturalmente, su una concezione in cui lo status familiare veniva dato dalla figura maschile essendo la donna deputata alle faccende domestiche alla cura, silenziosa, della prole. Tale concezione, ovviamente, non rispecchia, ormai da diverso tempo, la struttura sociale del nostro paese, poiché le madri lavorano tanto quanto lo fanno i padri e contribuiscono a fondare la struttura della famiglia nella stessa maniera in cui lo fanno gli uomini. E’ su questo assunto, rafforzato poi dalle norme costituzionali di parità tra uomo e donna anche all’interno del matrimonio, che le promotrici ed i promotori della riforma fondano le proprie argomentazioni. L’introduzione dell’ART. 143-bis.1 nel codice civilei stabilisce che il cognome dei figli è frutto di una scelta concordata dai genitori e laddove l’accordo sia impossibile si privilegia un criterio alfabetico. Del resto anche le Corti nazionali e sovranazionali chiedevano autorevolmente l’abolizione del precedente criterio non egualitario ed anacronistico.

Rilevo, tuttavia, una grossolana dimenticanza in questo inno alla parità tra uomo e donna che non tiene conto della posizione dei minori. Dove si colloca il diritto del minore quale soggetto di diritto autonomo da chi lo ha procreato e titolare di interessi che non coincidono necessariamente con quelli dei propri genitori? 

Non è certo il passaggio da una famiglia patriarcale a una ipoteticamente matriarcale a placare questi dubbi -come a dire che le madri saprebbero meglio tutelare gli interessi dei propri figli rispetto ai padri-. e sorprende, in questo senso, la totale dimenticanza di quello che è il supremo interesse del minore ormai unico faro che ispira e guida tutta la legislazione minorile. Se i figli sono l’incontro tra due storie ed identità differenti perché non permettere agli stessi di potersi attribuire quella più consona alla propria indole, alle proprie ispirazioni o a quella linea del passato in cui meglio si riconoscono? Certo: un neonato non potrebbe avere già al momento della nascita la facoltà di scelta, ma sarebbe stato un grande segno di civiltà prevedere che nella scelta del cognome da attribuire ai propri figli i genitori fossero guidati,  più che dalla volontà di affermare se stessi dentro la coppia e verso la prole, perseguire almeno il supremo interesse del minore, laddove non si volesse sposare il più evoluto sistema spagnolo in cui vige il principio del doppio cognome. Ciò non per sminuire un legittimo entusiasmo verso un passo importante di riforma del nostro diritto di famiglia, che di miglioramenti ne avrebbe bisogno ma e parecchio, ma soprattutto per consentire la realizzazione della più alta espressione di progresso civile ed umano che non fa dei figli una passiva appendice dei genitori, ma soggetti veri ed autonomi di diritto.

Avvocato Andrea R. Catizone

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