Meriam è libera. L’oscurantismo va combattuto con il dialogo

Meriam è libera. Atterra oggi in Italia, con il marito, i figli Martin, due anni, e Maya nata lo scorso 27 Maggio in carcere. Ad accoglierla il premier Renzi, sua moglie Agnese ed il ministro Federica Mogherini. L’Italia si è battuta in prima linea per scongiurare la pena di morte cui lo scorso 12 Maggio Meriam Yahia Ibrahim Ishag, 27 anni sudanese cristiana, era stata condannata per apostasia ed adulterio.

Meriam, allevata dalla madre nella religione cristiana, secondo la Shari’ah, la legge di Dio per l’islam, è per discendenza paterna musulmana e quindi, il non aver abiurato la propria fede e l’aver sposato un cristiano – nell’Islam sono vietati i matrimoni misti – sono stati capi d’accusa bastevoli per la condanna all’impiccagione. Il caso ha commosso il mondo e ha mobilitato l’opinione pubblica così, grazie all’appello del marito di Meriam, Daniel Wani, sudanese con cittadinanza americana, all’ambasciata Usa, all’aiuto delle organizzazioni internazionali, a partire da Amnesty International e da “Italians for Darfur”, ed al sostegno mostrato anche del nostro Governo, Meriam è stata liberata e nei prossimi giorni giungerà negli Stati Uniti dove si stabilirà con la famiglia. 

ll Papa stesso, ricevendola, l’ha ringraziata per la sua «testimonianza di fede» in un incontro simbolico, segno della vicinanza del Pontefice a tutti coloro che soffrono a causa del proprio credo.

Il caso di Meriam ci aiuta a comprendere come, e non è certo una nuova scoperta, il radicalismo della dottrina islamica sia imperante in molti stati e permei, oltrepassando il diritto stesso (in Sudan infatti la Costituzione sancisce la libertà di culto), qualsiasi ambito della società, soprattutto quello della politica e della giustizia, i cui poteri sono indissolubilmente legati ai precetti coranici cui la maggior parte della popolazione fa riferimento. Non è pensabile per lo meno ad oggi creare in questa realtà uno Stato laico e forse questa è una pretesa che l’Occidente tenta di imporre al Medio Oriente, con l’unico risultato di esasperare il rifiuto della diversità, esacerbare i precetti stessi della religione fino ad asseverarli ad una logica estrema creando una caccia alle streghe, gli infedeli, che pone le famiglie stesse in conflitto: sono stati proprio i fratelli di Meriam ad aver sporto denuncia contro di lei. Se da un lato è giusto che l’Occidente si adoperi per salvaguardare il rispetto dei diritti umani, è altresì necessario rispettare noi stessi in primis la diversità e non combatterla: penso alle dispute francesi sul divieto del velo islamico che testimoniano la necessità di un’apertura verso l’altro, il diverso, che non può essere monodirezionale perché, e la storia di Meriam ce lo dimostra, l’unico risultato altrimenti è quello di un continuo scontro tra culture. Come è possibile combattere l’oscurantismo se non con il dialogo, con l’apertura di un canale di scambio di idee, credi, convinzioni che ci permettano di porre le basi per un rispetto reciproco e la salvaguardia delle libertà fondamentali?

Meriam è salva, lo è grazie all’intervento delle ONG e dell’indignazione mondiale cui il Sudan ha dovuto piegarsi, ma prima di lei e dopo di lei, quante vittime sono state e saranno mietute dalla Shari’ah? Se la sua libertà è dovuta anche alla cittadinanza americana del marito che ha potuto chiedere l’aiuto degli Stati Uniti, chi darà voce ai prossimi che saranno condannati e perseguitati per la propria Fede, le proprie idee e scelte di vita, in una società dove discostarsi dalla legge divina significa discostarsi dalla legge terrena e macchiarsi di infedeltà espone al rischio della pena capitale?

Ora che Meriam prenderà il volo verso una nuova vita e verso la libertà, ora che i riflettori si spegneranno, ci auguriamo che il campo di battaglia non venga abbandonato, che si continui a lottare per la salvaguardia di quegli imprescindibili diritti che troppo spesso vengono calpestati nel nome, invocato invano, della religione.

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