Chi vorrà in sposa una donna tenuta in ostaggio da Boko Haram?

“Quando una ragazza bella e bionda scompare, le agenzie di stampa inviano elicotteri e giornalisti sulla scena; ma quando centinaia di ragazze nere vengono rapite in un paese lontano, si dà a malapena la notizia”. Lo scriveva questo aprile la giornalista Charlotte Alter del Times ed infatti la notizia del rapimento di 270 ragazze nigeriane, avvenuto nella notte tra il 14 e 15 aprile nel dormitorio di un istituto scolastico di Chibok a nord del Paese, viene divulgata solo dopo tre settimane: silenzio, disinteresse e disorganizzazione del Governo nigeriano caratterizzano la vicenda. C’è chi accusa addirittura di complicità dell’esercito, dato che, nonostante fosse stato dato l’allarme 4 ore e mezza prima, gli unici militari in servizio in quella zona erano 16. 

Caricate su camion e fuoristrada, strappate dalle loro vite, dai banchi della scuola che vedono bruciare alle loro spalle, queste ragazze cadono cosi nelle mani dell’organizzazione jidhaista Boko Haram che ne rivendica il rapimento attraverso un video agghiacciante in cui Abubakar Shekau, leader degli integralisti islamici nigeriani, si rivolge con tono di sfida alle istituzioni, alle famiglie delle giovani ma soprattutto alla comunità cristiana del Paese: -“ Ho sequestrato le vostre ragazze e le venderò come spose in nome di Allah.”- Cosa fa più scandalo? Che ancora una volta in nome della religione vengano perpetrati abusi e violenza? L’iniziale disinteressamento del Governo nigeriano? Non si sa. Ma l’indignazione del mondo è cresciuta di settimana in settimana e si è dato il via ad un movimento il cui slogan è un ashtag divenuto ormai famosissimo: #BringBackOurGirls. Molte le personalità internazionali che vi aderiscono, da Michelle Obama a Malala Yousafazi, attivista per il diritto all’educazione femminile, simbolo della lotta all’integralismo islamico che tenta di sottomettere le donne degradando la loro posizione a quella di semplici oggetti di scambio e che quindi è contraria ad ogni forma di emancipazione, prima tra tutti l’istruzione. Non fa notizia, pur perpetrandosi violazioni di diritti umani ugualmente, il trattamento che il Governo nigeriano riserva a mogli e figli degli attivisti di Boko Haram: basta un sospetto per essere arrestati. È proprio per uno scambio di prigionieri che, dietro il pretesto di una guerra santa, l’organizzazione terroristica ha rapito queste ragazze. Ma fa presto ad attutirsi la voce della coscienza della Rete e le famiglie piombano nuovamente nella disperazione. Ad oggi l’aereonautica britannica intende inviare caccia-bombardieri nella missione di ricognizione nella foresta di Sambisa, dove pare si trovino le giovani. Ma le speranze di ritrovamento sono poche, dato che l’area interessata ha una superficie pari al Belgio e, essendo le aree di accesso molteplici, si richiede la collaborazione degli Stati confinanti.

Soprattutto un intervento occidentale potrebbe essere controproducente, alimentando la tensione tra le fila di Abubakar Shekau che, agendo in nome di Allah, cercano di imporre la sharia alla maggioranza cristiana del Paese attraverso azioni terroristiche che dal 2002 mettono con le spalle al muro il Governo, con l’obiettivo di trasformare la Nigeria da Stato sovrano a Stato islamico.  Il destino di queste giovani è ancora appeso ad un filo ma, una volta salvate, cosa le attenderà?

Chi vorrà in sposa una donna tenuta in ostaggio da Boko Haram? 

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