Tav. Alla luce dei fatti si moltiplicano dubbi e incertezze

ROMA – Opere faraoniche, miliardarie e spesso inutili vengono finanziate dall’Italia. Prima tra tutte è la realizzazione di linee ferroviarie ad alta velocità, nel mirino di movimenti di protesta ad essa collegati – noTav- e, nell’ultimo mese, al centro di numerosissime polemiche.

Ad accenderle è un articolo del Sole che fa luce sull’esplosione dei costi della realizzazione del tunnel del Frejùs (parte della nuova linea Torino-Lione): mentre la stima calcolata nel 2012 prevedeva costi pari ad 8.3 mld, oggi gli investimenti sarebbero saliti a 11,9 mld totali. Posto che il 40% delle spese sarà coperto dai finanziamenti Ue, l’Italia dovrà effettuare un esborso di 4,1 mld a fronte dei 2,9 previsti in precedenza da Ltf – società italo-francese incaricata della progettazione della Tav- nel Contratto Programma 2012-2016 che il ministro Lupi ha sottoscritto nell’Agosto di quest’anno. A cosa sono dovute queste rettifiche? Da chi sono state effettuate? Il nodo gordiano della questione è rappresentato dal fatto che i calcoli della Ltf furono, nel 2012, effettuati secondo una valutazione in euro costanti, ovvero bloccati fino al termine dell’opera, mentre quelli realizzati dalla società Rete Ferroviaria Italiana (Rfi) sono realizzati secondo una valutazione in euro correnti, attualizzati quindi al 2014. Dati, questi, emersi dalla relazione richiesta dallo stesso premier a Stefano Esposito, vicepresidente della commissione Trasporti del Senato, a fronte dei quali sono già in atto procedimenti di verifica delle spese sostenute e da sostenersi e di accertamento della titolarità della responsabilità di questa vicenda che causa all’Italia gravi danni economici e d’immagine. Nella relazione vengono riscontrati paralleli aumenti di altri valori contenuti nel Contratto nel passaggio da costo costante a costo corrente. Il sospetto, spiega Esposito, è che “questo errore di sovrastima non sia sistematico.”

Si rianima quindi il mai sopito malumore di chi nella “Grandezza”di quest’opera non ha mai creduto. In effetti il progetto della Torino–Lione si basa su una stima di costi-benefici del 2012, che ipotizza che i flussi di merce che attraversano il versante occidentale delle Alpi su gomma raddoppino tra il 2000 e il 2030. Previsioni di crescita errate ed in contraddizione con la reale evoluzione dei traffici negli ultimi vent’anni: per il 2015 si stimava, nel 2000, un numero di veicoli medio giornaliero pari a 6.600, esattamente il doppio rispetto a quelli registrati lo scorso anno. Se i dati del traffico totale sono incerti, ancora più incerta è la quota di traffico che si prevede di spostare sulla nuova ferrovia, e che potrebbe essere ben inferiore rispetto a quanto previsto, cosa che comporta quindi una drastica riduzione dei benefici che dalla Tav ci si aspetta. Tali riflessioni e il rigonfiamento dei costi fanno presumere che contro queste “Grandi Opere” si scaglieranno non solo i movimenti ambientalisti e locali, ma anche economisti e politici. Lo stesso Renzi si diceva convinto dell’inutilità delle iniziative come la Torino-Lione, prima che le esigenze governative richiedessero appoggi parlamentari trasversali favorevoli alla loro realizzazione. Dall’alta velocità Napoli-Bari, al Tunnel del Brennero, passando per la nuova autostrada regionale Cispadana, il dl Sblocca Italia prevede una lunga serie di Grandi Opere pubbliche che dovrebbero implementare occupazione e favorire l’economia. Laddove l’economia privata non riusciva da sola ad arrivare, diceva Keynes, era lo Stato a dover agire attraverso investimenti in opere pubbliche. Tuttavia, sarebbe opportuno compiere una valutazione più dettagliata su elementi e variabili di lungo termine, quali ad esempio l’effettiva portata della domanda -rapportata alla crisi-prima di giungere alla loro approvazione per poter realizzare la quadratura del cerchio tra interessi, costi e benefici.

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