Il governo non è in grado di cambiare il senso di marcia, l’esplosione sociale è dietro l’angolo

ROMA – Sottovalutare l’astensione esplosa a livelli impensabili con le regionali, particolarmente in Emilia ma anche in Calabria, è un suicidio politico. Affermare che quello che conta è arrivare primi o sottolineare che sarebbe proprio dei paesi avanzati avere un crollo dei partecipanti al voto sono forme di (auto) consolazione che possono avere qualche effetto propagandistico iniziale ma lascieranno presto il passo alla dura realtà di un paese che nella sua maggioranza di elettori si astiene. 

La dura realtà è che il livello di sfiducia nella politica e nella sua capacità di rappresentare le persone, le loro esigenze, le soluzioni ai problemi ha raggiunto livelli mai visti, che in altri periodi avrebbero indotto preoccupazioni sulla stessa tenuta democratica del nostro paese.

La dura realtà è che nessuno sembra in grado di rappresentare la speranza di un futuro diverso, il M5S ha consumato buona parte della fiducia che aveva ottenuto, alla sinistra del Pd c’è una tenuta su posizioni molto basse che confermano che qui non si riesce ad intercettare la crisi di fiducia verso il Pd, a destra difficile considerare positivo il sorpasso della Lega, per le posizioni che sostiene e i rapporti stretti con Le Pen. 

La dimensione dei problemi non è data tanto dalle percentuali che, ad esempio, per il Pd in Emilia Romagna coprono la realtà della perdita di 322.000 voti dalle regionali precedenti e addirittura quella di poco meno di 700.000 voti dalle elezioni europee di pochi mesi fa, cioè il 55,9 % di voti in meno. E’ vero che Forza Italia è più o meno al 20% dei voti delle precedenti regionali, che la stessa Lega arriva al 19,4 % pur perdendo 45.000 voti sulle precedenti regionali, che Udc e Ncd insieme in Emilia Romagna arrivano a un modestissimo 2,6 %, appena 31.000 voti, eppure hanno nella regione leader storici di peso, ma il messaggio che arriva dagli elettori è chiaro e durissimo. Tuttavia le disgrazie altrui non possono consolare le proprie e sono parte di un enorme problema politico che riguarda anzitutto il Pd. La fine anticipata della presidenza Errani e i capi di accusa che hanno coinvolto la totalità dei gruppi consigliari e quasi tutti i consiglieri hanno certamente pesato, ma la questione di fondo resta lo scontro aperto dal Governo con i sindacati e in particolare l’attacco ai diritti dei lavoratori a partire dall’articolo 18. La frattura con una parte decisiva del tradizionale corpo elettorale del Pd si è fatta sentire con un boato di astensioni impressionante, che ha duramente penalizzato il PD.

La questione che emerge inoltre è che comportamenti diversi spesso non bastano ad evitare di essere investiti dall’onda d’urto della critica di massa verso il Pd. 

Che il gruppo dirigente vicino a Renzi tenti di fare finta di nulla, minimizzando come il suo leader, è nelle cose, perché la loro scommessa politica è che la linea del Governo, e del Pd, paga per definizione e quindi – non a caso – ci si aggrappa al risultato delle percentuali, mentre il nuovo Presidente dell’Emilia, che il boato lo ha sentito da vicino, è molto più prudente.

Che la parte del gruppo dirigente che non è annebbiato dal renzismo, o almeno lo è solo in parte, debba riflettere seriamente sul da farsi è altrettanto chiaro. La linea di quanti hanno condotto una trattativa con il Governo per finire con il bel risultato di essere oggi difensori del pessimo, e inaccettabile, compromesso sull’articolo 18 è destinata a finire il suo cammino o sulla sponda del renzismo o sotto il fuoco della polemica politica che non starà a sottolizzare tra i protagonisti del compromesso. Almeno Bersani dichiara che voterà solo per disciplina, posizione che si può discutere ma salva la possibilità di non essere confuso con chi ha condotto l’attacco all’articolo 18 e ai diritti dei lavoratori. 

Per fortuna ci sono tuttora, malgrado pressioni inaudite, parlamentari che non voteranno il Jobs act e questo manterrà in campo una speranza, una diversità.

Il problema per il Pd è serio perché le sua fortune sono state da Renzi strettamente legate a doppio filo a quelle personali del leader. Tanto da fare pensare che la crisi del leader potrebbe essere coincidente con la crisi del partito. Oggi Renzi può sembrare tuttora nella fase trionfante, soprattutto per assenza o pochezza di interlocutori credibili, ma in realtà il voto delle regionali segna una svolta, un cambio di verso come direbbe Renzi stesso, e per di più la situazione occupazionale ed economica resta stagnante e la manovra del Governo non è in grado di cambiare il senso di marcia. Nei prossimi mesi la situazione resterà pessima. Quindi il clima politico e sociale non è destinato a migliorare, mentre sono in crescita episodi di esplosione di proteste e di disagio sociale, se non peggio. 

Un paese che rischia di andare fuori controllo senza un impegno corale delle principali forze sociali a partire dal sindacato, eppure sono esattamente questi i bersagli degli strali del Governo, indebolendo così la possibilità di mantenere il disagio crescente  entro confini governabili. Di questo passo renzi rischia di diventare un fattore di instabilità. La confusione regna sovrana anche su modifiche costituzionali e legge elettorale, mentre emerge sempre più chiaro che resuscitare il convitato di pietra di queste cosiddette riforme è stato un clamoroso errore, come del resto ammette lo stesso Renzi quando minaccia di andare avanti da solo senza Berlusconi.

Il problema serio  per le energie migliori del Pd è come uscire da questa crisi imponendo un carattere di sinistra al Pd, cioè il contrario di quanto ha fatto Renzi, in questo modo distinguendo il partito dal Presidente del Consiglio. E’ possibile una svolta di questa profondità ? E’ possibile farlo senza scelte traumatiche che diano il segnale visibile di una svolta che si vuole imporre al Pd ?

L’altro corno del problema è quello delle forze alla sinistra del Pd che non sono risucite ad intercettare i voti in uscita verso l’astensione. Rimotivare chi ha finito con l’astenersi non è cosa facile, richiede capacità di entusiasmare attraverso una svolta politica credibile, proposta e praticata.

Oggi nessuna delle energie in campo a sinistra ha questa forza e proposta politica. Anche a sinistra occorre una svolta credibile e non può prescindere da quanto accadrà nel Pd.   

Le elezioni regionali pongono un problema serio e pretendono la credibilità di un disegno alternativo in campo. Al momento il problema non è la forma organizzativa per questa alternativa ma dimostrare che è in campo una autonoma proposta politica contro il neoliberismo e la svalutazione del lavoro e che può rappresentare una risposta alla crisi di credibilità della politica italiana.

Occorre la coppia del pensiero gramsciano, sia il pessimismo dell’intelligenza che l’ottimismo della volontà (della sinistra).

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