Etihad, Nicole Kidman, e le incompatibilità dei ruoli

ROMA – La partecipazione al nuovo spot di Etihiad ha posto, com’è noto, Nicole Kidman al centro di una serie di polemiche. Secondo Laura Glading, presidentessa dell’Association of Professional Flight Attendants (APFA), il ruolo dell’attrice come ambasciatrice per i diritti delle donne alle Nazioni Unite sarebbe in stridente contrasto con quello di testimonial per una compagnia che adotta atteggiamenti profondamente discriminatori nei confronti delle proprie dipendenti.

Non sono ovviamente (tutto il mondo è paese) mancate le dovute smentite da parte degli avversari della Glading: insomma il rumore che si è prodotto intorno alla faccenda è stato piuttosto rilevante, soprattutto oltreoceano. Alle accuse, da Abu Dhabi controbattono asserendo di applicare le norme a tutela della maternità, e di non discriminare il personale femminile, ed è probabile che ciò sia vero (la governance della compagnia è affidata ad occidentali). In effetti ricordo di aver letto testimonianze di pesanti discriminazioni subite da dipendenti di altre compagnie dell’area, ma non di Etihad. Mi preme ricordare tuttavia che esistono altri tipi di discriminazioni di genere, che pur non comprendendo la negazione di diritti fondamentali determinano un trattamento che produce risultati discriminatori nelle progressioni delle carriere. Esistono comportamenti quotidiani che creano disagio e trattamenti diversificati (per esempio negare la possibilità di indossare i pantaloni, non prevederli nell’uniforme, dopo che sono stati a fatica conquistati dal personale occidentale, per questioni legate sia al confort e che alla sicurezza delle addette, che è uno dei vari punti citati dalla protesta, è un atteggiamento retrogrado che rende una precisa idea dei ruoli attribuiti, senza peraltro essere apertamente discriminatorio). Di certo in quella zona geografica non è che le donne siano propriamente libere. E l’idea di assistente di volo che sembrano trasmettere non è propriamente emancipata… Per una sinistra coincidenza Etihad ha appena acquistato la nostra ex compagnia di bandiera, e l’affare è stato preceduto da numerosi licenziamenti e perdite di posti di lavoro. Ed attualmente gira la notizia che Alitalia sia in procinto di assumere del personale, ovviamente non tra quello licenziato pochi mesi fa, ma tra giovani da inserire ex novo. Qui le discriminazioni di genere c’entrano poco, ma, se il fatto fosse confermato, sarebbe un comportamento decisamente “unfair”, tuttavia non ascrivibile esclusivamente alla cultura del nuovo padrone: infatti anche i suoi italianissimi e patriotici predecessori hanno fatto la stessa cosa. Ma in Italia non siamo sufficientemente sensibili a certi argomenti, anzi di solito riteniamo che i problemi aziendali siano responsabilità dei soliti lavoratori fannulloni… Diciamo che comunque la partenza non è eticamente delle migliori. Tornando al nocciolo del contendere: secondo i manuali di comunicazione aziendale un testimonial deve personificare i valori profondi del brand. Le discriminazioni, quali esse siano, e la difesa dei diritti in effetti non vanno d’accordo: esistono effettivamente delle disparità in questo caso? Devo confessarlo: al di là delle questioni di genere, a me lo spot non è piaciuto. Anzi mi ha profondamente irritato (e mi ha fatto apprezzare, invece, quello Air France, che all’inizio mi era sembrato un po’ troppo leziosamente francese, ma che è decisamente più democratico ed originale rispetto a quello Etihad), perché si basa esplicitamente sul privilegio, evidenzia le diseguaglianze, proponendo un viaggio ambientato nel lusso ai pochi fortunati in grado di permetterselo (e dimentica il resto dei potenziali clienti). E la Kidman, bionda, eterea, acculturata, elegante, coccolata dal lusso della prima classe del A380 Etihad è la perfetta immagine della diseguaglianza determinata dalla ricchezza. In effetti l’attrice è stata essa stessa ri-immaginata (“re-imagine” è il mantra dello spot) rispetto alla Kidman che appare, in un look casual, semplice, adeguato al ruolo, nel sito delle Nazioni Unite. Sfortunatamente i due look si oppongono. E pongono un problema: qual è l’immagine “vera”? La dissonanza è così stridente che l’incompatibilità diventa ancora più esplicita: Ethiad propone un mondo di lusso a pochi privilegiati; le Nazioni Unite difendono la pace, l’uguaglianza il rispetto dei diritti dei popoli e la loro autodeterminazione, aboliscono le discriminazioni. Non sembrano valori sovrapponibili che possano essere rappresentati dalla stessa persona: forse è vero che qualcuno dovrebbe cambiare testimonial. E temo che il compito spetti alle Nazioni Unite.

Condividi sui social

Articoli correlati