Germanwings, i fatti parlano. Il pilota folle e il sistema malato

ROMA – E’ sorprendente come dopo un incidente aereo si riescano a produrre congetture fantasmagoriche da parte di improvvisati esperti che spuntano fuori come funghi in un bosco.

Alcune supposizioni sono anche francamente comiche, ma della maggior parte delle riflessioni faremmo tutti volentieri a meno. Bisognerebbe istituire l’obbligo di comunicare solo i fatti e di astenersi dall’ipotizzare astruse spiegazioni. 

A proposito di Germanwings, non ho simpatia per le teorie complottiste, e deploro alcune becere rivelazioni comparse sul web, ma la velocità con cui si è giunti alla spiegazione dell’accaduto mi ha negativamente sorpresa. Ovvio, dopo trent’anni di depistaggi su Ustica siamo preparati a qualsiasi tipo di mistificazione e privi di ogni fiducia nelle istituzioni. Tuttavia anche nei casi più tragicamente normali, se mai di normalità si possa parlare, ciò che di solito caratterizza le investigazioni sugli incidenti aerei non è certo la celerità. Invece, in questo caso, dopo neanche 24 ore dalla catastrofe già il mistero era stato risolto e l’accaduto, inimmaginabile, comunicato al pubblico, e la spaventosa causa dello schianto individuata nell’imprevedibile follia di un giovane di 27 anni, il pilota dell’airbus precipitato. Una sorprendente decodifica lampo del voice recorder dell’aereo, senza i lunghi consueti confronti con gli altri dati, senza le indagini sul relitto, né l’intervento di esperti, ha permesso di ottenere la sconcertante spiegazione a tempo di record. E di non indugiare un solo secondo a dare in pasto all’opinione pubblica la vita del pilota Andreas Lubitz. Il tutto mentre dall’altra parte del mondo un aereo, un grosso Boeing 777, è letteralmente sparito dalla faccia della terra senza lasciare traccia, e senza alcuna ipotesi plausibile.

Si è dato immediatamente inizio allo sciacallaggio mediatico: sono spuntate ex fidanzate sospettose, dottori reticenti, certificati celati; la vita del pilota è stata sottoposta ad una capillare autopsia, molto peggiore di quella subita dai resti fisici di tutte le vittime, compresi quelli, appunto, dello stesso Lubitz. E, per estensione, si ritiene di poter passare al setaccio la vita privata di ogni pilota (ad esempio, quella del comandante Alitalia, salito di recente agli onori della cronaca per una lite familiare) sotto la spinta di una morbosa quanto grottesca curiosità legittimata dall’accaduto. 

 Ma se il problema fosse stato invece tecnico,  organizzativo, o istituzionale, si sarebbe proceduto con altrettanta rapida solerzia alla diffusione della “verità”? La celerità non è forse dovuta proprio al fatto che il colpevole è un uomo che avrebbe agito con malizia e volontà personali? E’ con grande sollievo che le istituzioni possono asserire che il problema sta esclusivamente nello human factor che stavolta è totalmente indipendente dalla tecnologia. 

O quasi.  Perché se il pilota suicida è riuscito a portare a compimento il suo gesto folle vuol dire che è il sistema lo ha permesso e che dunque ha fallito. Qualsiasi incidente è la conseguenza di una serie di errori non corretti tempestivamente, che spesso sono sia  umani  che organizzativi e procedurali:  anche in questo caso è così, perché  c’è una porta che una volta che è bloccata dall’interno non può mai essere ri-aperta dall’esterno (grazie alle misure antiterrorismo post undici settembre); e perché è successo che un ruolo che comporta grandi responsabilità sulla vita altrui, sia stato affidato, pare, ad una persona con gravi problemi psichici, che, aggirati i previsti controlli, è riuscita a portare a termine il suo omicidio-suicidio. Perché, occorre ammetterlo, le maglie si stanno allargando, i controlli si diradano, e si assottigliano. Per contenere i costi. 

Il fattore umano, ahimè, scopriamo attoniti, conta: di colpo si parla della salute psicofisica dei piloti e quelli che fino a 10 giorni prima per la stampa nostrana erano degli spocchiosi privilegiati si sono trasformati in infelici stressati cronici il cui stato mentale non è sufficientemente controllato. Ma ci sono altri aspetti importanti da sottolineare: l’iter addestrativo è diventato sempre più costoso e basato sugli esborsi dei singoli, a fronte di guadagni sempre meno elevati e ritmi di lavoro estremamente faticosi. La favola che chi vola faccia una vita da nababbo è finita da un pezzo, anche se molti se ne accorgono solo ora. E le industrie sono così pressanti e potenti da far modificare le norme istituzionali che regolano tempi di volo e di riposo in loro favore. Ma il fattore umano non perdona.

La logica finanziaria e industriale, quella del profitto a tutti costi, cerca di ribaltare la filosofia che contraddistingue le indagini sugli incidenti aerei alla cui base non ci dovrebbe mai essere la ricerca che di un colpevole da biasimare, ma piuttosto quella di fornire una esemplare spiegazione dell’accaduto affinché l’errore eventuale non si ripeta di nuovo.  In questa singolare vicenda invece accade proprio questo: la fretta con la quale si sono tratte le conclusioni, e soprattutto si sono date in pasto al pubblico appare più legata ad una filosofia punitiva, alla necessità di individuare un solo responsabile, a certificare una visione adottata quasi con sollievo per non macchiare altre reputazioni più economicamente importanti. Ma non è così semplice, perché la domanda resta comunque sospesa: come è potuto accadere?

La soluzione trovata a caldo ancora una volta si basa sulle persone, ed aggiunge ulteriori oneri ai lavoratori, accollando a loro ciò che non si è riusciti a prevenire: corrosa la reciproca fiducia, all’intero equipaggio tocca l’esercizio del controllo. “Nessun pilota da solo in cockpit” è la nuova disposizione in molte compagnie aeree, che prevede che, oltre alla reciproca presenza dei piloti, destinati a guardarsi con sospetto, in caso di necessità un assistente di volo venga cooptato per fare eventualmente da guardia ed intervenire su questioni, sia tecniche che psicologiche, sulle quali non c’è una specifica competenza. D’ora in poi qualsiasi malessere emotivo potrebbe gettare in agitazione un intero equipaggio. O fornire lo spunto per assurdi scoop giornalistici. L’incidente Germanwings permette l’impensabile. La cura insomma è peggiore della malattia. 

Cancellato qualsiasi sentimento di humana pietas nei confronti delle persone, in questo mondo paradossale la cautela si utilizza solamente nei confronti delle istituzioni e delle industrie: un bell’esempio di come si sia trasformata la società, e di dove si situino i suoi valori. Ma se quell’aereo è caduto è stato perché un intero sistema ha fallito. E nessuno è, ahimè, innocente. 

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