Dopo le Amministrative, big bang o resistenza a oltranza?

ROMA – Ve lo ricordate il big bang renziano dell’autunno 2011?

Fu la Leopolda della sfida, la più a destra di tutte, quando l’ex compagno d’avventura Civati si era già staccato per manifeste divergenze sulle scelte e la linea politica del Rottamatore (la visita ad Arcore e il sostegno a Marchionne, tanto per citare due episodi) ma non era ancora partita la corsa dell’allora sindaco di Firenze alla guida dell’Italia.

In quei giorni, mentre il governo Berlusconi naufragava sotto i colpi dello spread, giunto alla fine a quota 575 punti, e mentre Napolitano si inventava l’operazione Monti, dando il via alla triste stagione delle larghe intese, il bimbaccio di Rignano, fiutata l’aria, si proponeva come l’uomo in grado di tagliare le ali “estreme” e dar vita a quel grande centro moderato in cui destra e sinistra si annullano, le identità si attenuano fino a scomparire e storie, culture, tradizioni e prospettive differenti lasciano il posto ad un patto di potere che tre anni dopo “the boy” non ha esitato a realizzare.

Erano i giorni dell’ascesa, i giorni in cui i cultori del liberismo guardavano a lui come a una sorta di Clinton in salsa toscana (un misto di Jovanotti e Ronald Reagan, Tony Blair e Margaret Thatcher) e anche i giorni in cui, purtroppo, Bersani gettava alle ortiche l’occasione della vita, accettando di sostenere un governo tanto inutile quanto dannoso e intollerabile agli occhi di chi, fino a poche ore prima, aveva esultato per le dimissioni di Berlusconi e adesso si ritrovava a doverlo considerare un alleato essenziale per le mitiche “riforme condivise”. Riforme che, ovviamente, non si sono fatte, per il semplice motivo che è un po’ difficile pensare di poter salvare il Paese insieme agli stessi che lo hanno condotto sull’orlo del baratro: un errore politico clamoroso e collettivo che Bersani ha pagato a carissimo prezzo, vedendosi addebitate anche responsabilità non sue, come se gli altri protagonisti di quella drammatica stagione, che prosegue tuttora, all’epoca vivessero in Papuasia o fossero incapaci di intendere e di volere.

Giorni lontani, comunque, perché ormai la rottamazione si è compiuta, Renzi ha spodestato sia Bersani che Letta e oggi siede a Palazzo Chigi alla guida di uno dei peggiori governi della storia repubblicana, con ministri a proposito dei quali non si possono che abbracciare le tesi dell’ex direttore del “Corriere della Sera”, Ferruccio De Bortoli, e una linea politico-economica in perfetta continuità con il solco tracciato da Monti, parzialmente interrotto da Letta e ora nuovamente in auge, anche a causa della folle miopia di un’Europa ormai prossima alla disgregazione.

Giorni lontani, dicevamo, anche perché oggi il Rottamatore deve cominciare a fare i conti con il pericolo di essere, a sua volta, “rottamato”, dato che i ballottaggi delle Amministrative si sono rivelati un disastro, con sconfitte dolorose nell’iper-renziana Arezzo e a Matera, capitale europea della cultura nel 2019; senza dimenticare Fermo e Nuoro e senza tralasciare il pokerissimo stellino in comuni sì piccoli ma non per questo meno rilevanti.

Certamente, i destini della Nazione non dipenderanno mai da Porto Torres, Quarto, Gela, Augusta o Venaria Reale ma sottovalutare o, peggio ancora, irridere le loro affermazioni sarebbe solo l’ennesimo atto di arroganza e presunzione da parte di una sinistra cui, da militante di lunga data, consiglio un sincero bagno di umiltà e di onestà intellettuale.

Perché se perde Casson in riva alla Laguna non possiamo scagliarci contro quella parte dei 5 Stelle che non l’hanno votato: posto che per me fa male, anzi malissimo, il movimento stellino a rifiutare a prescindere la logica delle alleanze e posto che, continuando così, rischia di perdere e far perdere al Paese occasioni irripetibili (è già successo nel 2013, per dire), è altrettanto vero che Casson ha perso perché è stato percepito come un candidato ibrido in una stagione nella quale la gente tende a prediligere i messaggi radicali. Troppo grillino per i renziani e troppo renziano per i grillini, l’ex magistrato ha scontato l’eccessiva fedeltà a un partito nel quale ormai, palesemente, non si riconosce più e dal quale molte persone gli hanno chiesto da tempo di uscire. Peccato, perché Venezia ha gettato al vento l’opportunità di avere un ottimo sindaco che senz’altro avrebbe portato avanti un’amministrazione egregia e onesta della cosa pubblica.

Quanto a Renzi, saremo maligni, ma dubitiamo fortemente che si stia strappando i capelli per la sconfitta di Casson: Arezzo e Matera bruciano, in particolare la roccaforte della ministra Boschi e del vecchio potere democristiano in salsa fanfaniana, ma a Venezia siamo convinti che, se il premier avesse dovuto votare, con ogni probabilità avrebbe scelto Brugnaro, non certo un senatore fra i più critici, fra i più dissidenti e fra i più tenaci nella contrapposizione a riforme che il governo considera essenziali.

Si apre, tuttavia, la questione veneta: una regione dove il centrosinistra non ha mai fatto faville ma nella quale adesso è davvero ai minimi storici, dopo essersi illuso, un anno fa, di poter sfondare l’ultima Maginot del berlu-leghismo e di potersi radicare anche in una terra storicamente ostile, grazie a politiche assai poco di sinistra e tese a favorire come non mai la piccola e media impresa e il tessuto produttivo di quella zona. Il guaio è che al governo Renzi manca un progetto di ampio respiro, un pensiero globale, una prospettiva che vada oltre l’immediato e questo si riverbera in quasi tutti i provvedimenti che esso assume, per lo più pasticciati, confusi e inadeguati a lenire le sofferenze di un Paese allo stremo e vittima da dieci anni, con la sola eccezione della parentesi prodiana, di una narrazione all’insegna di un ottimismo tanto di maniera quanto insostenibile di fronte al manifestarsi della cruda realtà.

Riuscirà, a questo punto, il centrodestra a tornare competitivo? Probabilmente no, per il semplice motivo che l’uscita di scena di Berlusconi ha lasciato un vuoto che nessun aspirante successore è ancora riuscito a colmare, specie se si considera che il vero figlio politico dell’ex Cavaliere si chiama Renzi e, da gran furbo qual è, ha capito subito di potersi trasformare in un Berlusconi 2.0 solo spostando a destra la sinistra, non mettendosi in fila come tanti delfini oggi spiaggiati o ridotti a fare le comparse in qualche trasmissione televisiva.

Al dunque, e questo è il nostro timore, Verdalfano (il duo Verdini-Alfano) preferirà comunque Renzi all’altro Matteo, quello che gira in felpa e miete consensi ovunque ma non riuscirà mai a entrare nel cuore della Merkel né, tanto meno, dei tecno-burocrati di Bruxelles; il che può fargli gioco in campagna elettorale ma, difficilmente, lo condurrà a Palazzo Chigi, anzi diremmo che è proprio da escludere.

L’alternativa al ballottaggio sarà, pertanto, fra i due Mattei ma, alla fine, a prevalere sarà quello di Rignano, col preciso compito di portare avanti le politiche che abbiamo visto e contestato finora: dallo stravolgimento della Costituzione allo smantellamento dello Statuto dei lavoratori, senza dimenticare scuola, RAI, giustizia, lo Sblocca-Italia con le conseguenti grandi opere a pioggia e altre meraviglie grazie alle quali il Paese sta sprofondando sempre più in basso.

Perché l’amara verità è questa: il rifiuto totale del Movimento 5 Stelle di entrare in una logica di accordi e alleanze li porterà, alla lunga, a risultare completamente ininfluenti, bruciando anche le tante risorse che avrebbero al loro interno e finendo così col non riuscire a incidere come vorrebbero e meriterebbero a causa di questa prigione che si sono costruiti da soli, figlia di uno statuto oggettivamente eccessivo e troppo rigido.

Infine, dalla prigione stellina, passiamo ad analizzare quella che intrappola l’intero Paese: una leadership è ormai logora, quella di Renzi, un’altra è improponibile, quella di Salvini, una terza, quella di Berlusconi, è semplicemente sfiancata e le altre due, quelle movimentiste e di sinistra, anziché parlarsi, discutere e confrontarsi, finora hanno preferito prendersi a pugni e ignorarsi a vicenda. E così andremo avanti fino allo sfinimento, con una resistenza strenua dell’esecutivo che non ha nulla di nobile e molto di discutibile, con un po’ di scilipotismo, almeno stando alle voci dei maligni, e con una miriade di leggi e riforme sbagliate che completeranno l’opera di abbattimento di una Nazione già sfiancata dalla crisi e dal malaffare. Se dovesse accadere il contrario, bisognerebbe iniziare a credere nei miracoli.

Roberto Bertoni

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